P. Raffaele Fusco (1810-1888) – Italia.
Il P. Raffaele Fusco nacque a Furore, sulla costiera amalfitana, il 7 aprile 1810, da famiglia distinta.
Emessa la professione di Redentorista, il 7 novembre 1827, e ordinato sacerdote, il 22 dicembre 1832, si dedicò alle missioni popolari con efficace entusiasmo.
Dopo un decennio d’intense e fruttuose esperienze apostoliche, venne inviato a Materdomini dal Rev.mo P. Ripoli, Rettore Maggiore dell’Istituto.
Il trentunenne superiore non si scoraggiò per le molteplici e annose questioni che trovò ammucchiate sul tavolo, nel 1842. Studiatele con persone competenti, fiducioso in Dio, si accinse con rettitudine e fermezza a superare la situazione critica nella quale si dibatteva la comunità.
Cominciò con l’edificio, che le piogge, le nevi e gl’impetuosi venti avevano logorato. Abbattuti i vecchi solai, rifece il tetto e i pavimenti; rinforzò la facciata con fabbriche nuove, e tirò su dalle fondamenta archi saldi e snelli di travertino. Il collegio rinnovato acquistò l’aspetto elegante, che ammiriamo anche adesso.
La viabilità era pessima attraverso tratturi ripidi e sassosi, appena valicabili sul dorso di muli stagionati. P. Fusco intraprese con audacia la costruzione della bella strada che, dalla borgata di Materdomini, porta al Ponte Sele. Spese 40 mila ducati ricevuti da Ferdinando II, che lo stimava assai. « Volesse il cielo che avessi un ministro come il P. Fusco » diceva.
Si rese inoltre benemerito per la causa di beatificazione del Majella, che non era stata ancora introdotta. Ne ridestò la memoria, percorrendo a cavallo i paesi dell’Irpinia e della Lucania, e raccogliendo testimonianze e documenti utili ai processi canonici, che promosse con ardore.
Quando la zona fu straziata da una spaventosa carestia, andò incontro ai bisogni di tutti, specie dei caposelesi, istituendo un centro di approvvigionamento; coi sussidi raccolti dal governo regio e dai suoi ricchi parenti salvò non pochi dalla inedia.
Alcuni censurarono la condotta di lui, avanzando dubbi e sospetti sull’amministrazione: soffiavano sulla cenere per appiccarvi il fuoco. Il Rev.mo P. Trapanese, un siciliano un po’ prevenuto, entrò nella’ controversia e credette di troncarla, deponendo il povero Rettore di Materdomini.
Fusco non tacque, ma esibì i debiti documenti con memoriali documentati. Il Re stesso appoggiò il religioso, che riteneva abile negli affari e meritevole della sua fiducia.
Il caso si allargò smisuratamente. Pio IX, nel 1854, affidò la incresciosa questione al Cardinale Cosenza, arcivescovo di Capua, che esercitava in quel periodo l’ufficio di Visitatore Apostolico. Questi, vagliati con prudenza gli atti di accusa e di difesa, si convinse della innocenza del P. Fusco; e il Papa, ascoltata la relazione, riabilitò il presunto reo senza alcuna limitazione. La popolazione di Caposele celebrò con gran festa la vittoria del suo esimio benefattore.
L’anno seguente, la comunità di Catanzaro elesse il P. Fusco quale vocale al Capitolo generale che doveva svolgersi a Pagani. I Padri Capitolari vollero testimoniargli la propria stima, nominandolo Consultore Generale del novello Rettore Maggiore p. Celestino Berruti, con 23 voti. Ma il P. Fusco, commosso, supplicò l’assemblea a volerlo dispensare dal gravoso incarico per vivere « nell’ultimo posto della Congregazione »; e il Capitolo «suo malgrado» accettò la rinunzia. Fu il 10 marzo 1855.
Scoppiava intanto la rivoluzione, a cui successe la soppressione delle Congregazioni religiose. Anche i Redentoristi, cacciati dai loro collegi, si videro costretti a tornare nelle proprie famiglie. P. Fusco non volle tornare tra gli agi del paese natio: con i beni personali, aiutato dal fratello Emanuele anche Redentorista, comprò l’ex seminario di Lettere, e lo donò alla Provincia Napoletana che risorgeva.
Ivi si spense serenamente nel 1888 fedele alla vocazione e al primitivo spirito alfonsiano.
P. Oreste Gregorio
S. GERARDO, anno LXIV, marzo 1964, pag. 44.
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Profilo tratto da
Nella luce di Dio, Redentoristi di ieri.
del P. Francesco Minervino, Pompei 1985
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Altro Profilo
Il P. Raffaele Fusco, detto nel gergo paesano « Fuschetiello », perché basso di statura, ma tarchiato e pieno di spirito, ha legato il proprio nome alla storia ottocentesca di Materdomini. Dopo il p. Cajone, nella serie dei rettori del collegio emerse fra tutti il p. Fusco, che non dispiacque al Rettore Maggiore p. Camillo Ripoli (m. 1850). Anche Ferdinando II di Borbone l’apprezzò molto, e non nascose la brama di avere a Napoli, nella Corte, due o tre Ministri della tempra di lui.
Era nato nel 1810 fra le rocce di Furore, sulla costiera amalfitana: entrato sedicenne tra i missionari redentoristi, emise i voti sacri nel 1827 a Deliceto: terminati gli studi teologici, fu ordinato sacerdote a Conza nel 1832.
Opera veramente meritevole del p . Fusco fu il suo interessamento per la diffusione del culto a S. Gerardo, in quel tempo ancora servo di Dio. Postulatore diocesano della sua causa s’industriò con ogni mezzo per accertare e documentare i tanti fatti prodigiosi a lui attribuiti. Fu latore dei processi a Roma. (P. Schiavone nel libro delle biografie).
Ebbe altri meriti. Poiché la rete viaria era quasi inesistente, studiò un piano per una nuova via tra Salerno e Avellino. Ferdinando II l’approvò, e consegnò al p. Fusco 40.000 ducati perché egli stesso la realizzasse. Sorse così la via che da Materdomini porta al Ponte Sele.
Vedendo poi che le fabbriche del collegio minacciavano di crollare, rifece i solai, e rinforzò la facciata con svelti archi di pietra viva. Giustamente è stato considerato come «il restauratore di Materdomini.
Il p. Fusco era un missionario valido, resistente alle fatiche della predicazione, a volta sprezzante dei pericoli. Uomo di polso e intrepido, cavalcava un giumento, attraversando le gole delle montagne di Acerno e di Montemarano infestate dai briganti.
Per tutela personale aveva un archibugio a tracolla; ma i suoi nemici non poterono mai provare che avesse sparato un sol colpo per difendersi.
Era intransigente e, per indole, poco malleabile. Si gettava nelle iniziative senza troppe preoccupazioni per le finanze: ma non sciupava il danaro; sapeva trovarlo, e sapeva anche impiegarlo. Con sapienza medievale risolse questioni insormontabili, che neppure i sindaci avevano sciolto.
Aveva un debole: sembrava troppo ligio al governo borbonico, che lo stimava ed eragli largo di sussidi. Ma non fu un regalista, anche se mostrava tendenze reazionarie che non gli perdonavano gli amministratori civici di Caposele. Era in genere più temuto che amato; nessuno però osava screditarne i talenti o censurare la sua condotta morale.
Durante la carestia del 1844, riuscì, colle aderenze che aveva a Napoli, ad approvvigionare quelle terre povere incassate tra i monti. Mobilitò e scomodò naturalmente tutti i suoi sudditi e i possidenti del posto, di cui combatté il «mercato nero». Il popolo lo acclamò «benefattore » a dispetto dei malpensanti.
L’attività del p. Fusco, in casa e fuori, parve di una ingerenza indebita e audace, per cui cominciò ad essere criticato e anche denunciato. I « carbonari » soffiavano sul fuoco per metterlo colle spalle al muro: le accuse partirono indirizzate al Rettore Maggiore e al Monarca.
Il p. Vincenzo Trapanese, che allora governava la Congregazione « ad Sedis Apostolicae beneplacitum », era spirito austero e, per giunta, impulsivo. Sicuro della protezione pontificia adoperò talvolta mezzi rigidi e intemperanti, suscitando vivaci reazioni. Privò di voce attiva e passiva religiosi venerandi, come i Padri Francesco la Notte (+ 1886) e Celestino Berruti (+ 1872), ritenendoli «perturbatori pericolosi ». Raccolse saltuarie e insicure informazioni sul P. Raffaele Fusco, che poi espulse dall’Istituto.
« Fuschetiello », intelligente e cavilloso, non si lasciò opprimere dalla umiliazione. Si mosse subito all’attacco per smascherare i suoi emuli e difendersi legittimamente. Sapendo di contare numerose ed alte amicizie nei ministeri borbonici, più che all’autorità ecclesiastica, si rivolse ai dicasteri civili. Ferdinando II seguiva la evoluzione della lite con premura e nervosismo, ritenendo il Fusco religioso integerrimo.
Il Rev.mo Trapanese, verso la fine del 1852, si portò nell’Urbe per sbloccare la situazione divenuta insostenibile. Siccome era uscito dai confini del Regno di Napoli senza licenza regia (salvacondotto), non venne più riammesso, e fu costretto a sostare sulle sponde del Tevere, nel collegio di Via Monterone, sede della Procura dei redentoristi. Nel 23 marzo 1853, fu eletto Vicario Generale il P. Vajano (+ 1861).
Il 6 settembre 1853, la santa Sede, che sosteneva Trapanese, divise i Missionari Redentoristi in due Congregazioni autonome: napoletani delle Due Sicilie da una parte e Transalpini e romani dall’altra. Fu intanto nominato Visitatore Apostolico il Cardinale Giuseppe Cosenza, arcivescovo di Capua (1778-1863) con mandato di informarsi con oculata rettitudine circa le vicende napoletane.
Cessava la potestà effettiva del Trapanese, rimasto nello Stato Pontificio come un esule e, dopo tre anni dalla sua deposizione, affetto da itterizia, morì. Aveva appena 53 anni!
Il Visitatore card. Cosenza, esaminato scrupolosamente il caso Fusco, lo riabilitò con un atto di giustizia sia pure temperato di benevolenza. Così, come scrive il p. Savastano, cessarono presto i nomi dei Trapanesiani e dei Fuschiani.
Nel Capitolo Generale del 9 marzo 1855, il p. Fusco fu nominato consultore generale ma, commosso per il riconoscimento inatteso, declinò l’incarico per motivi di salute. L’assemblea plaudì e, benché a malincuore, accolse la rinunzia.
Travolto nel 1866 dalle leggi eversive, il p. Fusco tornò in famiglia, ma fece di tutto per riunire la Congregazione dispersa; e, appena fu possibile, sotto il provincialato del p. V. Mautone, si pose in moto per cercare una dimora.
Il 22 novembre 1875, comprò dal demanio il derelitto seminario di Lettere, che restaurò: il 15 dicembre 1878 fu inaugurata la nuova casa. Così fu ripresa la vita redentorista nell’Italia Meridionale.
Aveva tanto lavorato per la esaltazione del Majella e, nel 1888, mentre si approvavano i miracoli, si ammalò e, poco dopo, si spense, assistito dal fratello Emanuele, anche lui redentorista.
P. Oreste Gregorio
S. GERARDO, anno LXXIV, giugno 1974, pag. 121.