Teologia e pastorale della carità in S. Alfonso Maria de Liguori
1b. – Formazione e attività teologica di S.Alfonso
Gli anni di formazione per Alfonso vanno dal 1723-1727. Ormai i seminari cominciavano, non senza problemi, a prendere piede, dopo il decreto del Tridentino datato 14 luglio 1563. Nel Seminario di Napoli il piano degli studi, fu rivisto ed “aggiornato” dal cardinal Cantelmo Stuart (1691-1702) uomo di grande cultura; il corso prevedeva prima di tutte le materie del ciclo “secondario”: grammatica, latino, greco, toscano (italiano), filosofia, retorica, geometria, aritmetica, astronomia; poi le discipline propriamente
ecclesiastiche: teologia scolastica, sacra scrittura ed ebraico[1].
Il corso teologico durava quattro anni e contava validissimi docenti di alta qualità intellettuale e pastorale: Gennaro Fortunato, ben presto vescovo di Cassano (1729); Tommaso Faenza, Bartolomeo Cacace e Francesco de Rosa, Giacomo Martorelli, stimato ellenista; infine Giulio Nicolò Torni (1672-1756), amico e fervente partigiano di Vico, che lo chiamava “il dottissimo”, censore ufficiale della Scienzia nuova, del quale Alfonso nelle sue opere scriverà tante volte con affettuoso rispetto: “Il mio celeberrimo e sapientissimo maestro, Don Giulio Torni[2]“. A tal proposito così scrive Padre Tannoia: Prese per maestro, così per la dogmatica che per la morale il canonico Giulio Torni, di poi vescovo di Areadiopoli, uomo nessuno il secondo in questa facoltà, come si vede dalle varie opere, che a beneficio comune già diede alla stampe. Professò mai sempre Alfonso per finché visse una speciale venerazione verso un uomo così degno, e nelle sue opere teologiche non altrimenti lo cita, che col distintivo di suo maestro[3].
Torni, dunque, erudì Alfonso nelle scienze teologiche. Lo indirizzò nel tomismo e nel contempo gli parlava di Vico per cui si stabiliva un’innegabile continuità tra la prima formazione culturale laica e la seconda con un taglio prettamente ecclesiastica. Alfonso fu iniziato anche allo studio dello Spagnolo quale suddito e del Francese. Fin dal 1635 la creazione dell’Académie francaise aveva consacrato definitivamente una lingua moderna, ormai matura e decisa a liberarsi da qualsiasi sentimento di inferiorità nei confronti del greco e del latino e i capolavori letterali del Grand Siècle giustificavano e avvallavano tale pretesa. Il francese venne allora adottato da tutte le società civili come lingua universale e nel corso del secolo XVIII, divenuto la lingua delle corti europee (Russia compresa) e, ben s’intende, di tutta la buona società, si sostituirà al latino come lingua diplomatica fino ai confini dell’Asia[4].
Come lo spagnolo per Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, Alvarez de Paz, Alfonso Rodriguez, così il francese permetterà ad Alfonso di leggere e citare nei testi originali i suoi maestri transalpini (Francesco di Sales, Giovanni Grasset, Giovanni Battista Saint-Jure, Francesco Nepveu) e soprattutto gli ispirerà il meglio della sua produzione dommatica contro Voltaire, Rousseau, Diderot, Bayle, tanto da scrivere più tardi al suo editore di aver pronto per le stampe un opuscolo “contra i deisti che mi costa dei mesi di fatica, ed ho scrutinati molti libri francesi ed italiani per comporlo[5]“.
Per la dommatica Alfonso adottò la Medulla theologica di Luois Abely (1604-1691) che con metodo cartesiano esponeva idee essenziali e distinte, per la morale la Théologie morale di Francois Genet (1649-1703) di indirizzo probabiliorista, poi rigettato[6].
L’antigiansenista Torni consigliava ai suoi allievi un tollerante per la dommatica e un rigorista per la morale, questa evidente contraddizione rientra nelle scelte pedagogiche di un uomo aperto al dialogo e questa disponibilità non sarà senza conseguenze sulla comprensione e la benevolenza della sua dottrina morale[7].
Per lo studio della sacra scrittura, Alfonso non si potè avvalere di una adeguata esegesi, ovviò a tale inconveniente riscoprendo lo studio della storia, che il mondo giuridico napoletano prediligeva e che altrove si disprezzava. Naturalmente né la storia, tantomeno altre discipline collegate ad essa, venivano insegnate nei seminari con evidente lacune[8].
Ma S.Alfonso, educato al diritto e alla valutazione della genesi e dello svolgimento dei fatti umani, si rese ben presto conto che la vita del popolo di Dio e le vicende e gli scritti dei santi costituivano una sicura interpretazione del vangelo. Intrecciò, quindi, il testo biblico ai fatti ecclesiastici del passato per intendere correttamente la scrittura; in altre parole proiettò la dottrina sulla vita vissuta dalla Chiesa e su questo terreno poté capire il significato dell’insegnamento evangelico. Il vangelo per S.Alfonso, andava
letto in filigrana con i fatti storici per valutarne e gustarne il significato e intendere il valore. Questa vocazione, originata dagli studi giuridici e influenzata dal clima culturale della sua città, gli fece amare di più Ludovico Antonio Muratori (1672-1750)[9].
S.Alfonso si affidava alla sacra scrittura nelle sue prediche e nei suoi scritti utilizzandola a prova delle sue affermazioni e dei suoi ragionamenti, citerà solo la Vulgata quale fedeltà alle scelte della Chiesa[10]. S.Alfonso aveva un autentico culto del Libro sacro. Nella regola elaborata per i suoi discepoli missionari ed approvata nel 1749 da Benedetto XIV, permise di avere in cella “due o tre libri spirituali, oltre la Sacra Scrittura”. Per quell’epoca non era insignificante simile concessione[11]. Dopo l’incontro con la parola di Dio Alfonso si formerà alla scuola dei santi. Prenderà ampia confidenza con Teresa d’Avila[12] e Francesco di Sales, santi non cari al “devozionalismo” festaiolo e chiassoso (S.Alfonso si guarderà bene dal favorire ogni genere di manifestazione superficiale, anche per S.Gennaro), ma maestri “moderni” di santità e di zelo apostolico, con i quali farà i suoi “corsi” di ascetica e mistica[13].
Alfonso conobbe Santa Teresa al suo ingresso al seminario, rimanendone sedotto per tutta la vita. Aveva già conosciuto Teresa da ragazzo e da avvocato, avendola già “respirata e gustata” sin dalla nascita, tramite sua madre Donna Anna Cavalieri di origine spagnola per via dei marchesi di Avenia.
Dal momento che varcò la soglia dello stato ecclesiastico, Alfonso per opera dello zio, Gizzio, superiore del seminario, divenne un appassionato di Teresa d’Avila. Così ci testimonia il Tannoia: Sin da che abbracciato aveva lo stato ecclesiastico, volle il canonico D.Matteo Gizzio suo zio, che preso si avesse per avvocata la Madre S.Teresa. Si affezzionò Alfonso alla Santa, maggiormente che ne’ suoi spirituali bisogni sperimentato ne aveva il patrocinio[14].
Nell’ascetica e nella mistica la terrà come “maestra di orazione”, nella vita come la “seconda mamma” dopo, naturalmente la Madonna; d’allora in poi le sue lettere avranno come motto, quasi bandiera spiegata al vento: Viva Gesù, Maria, Giuseppe e
Teresa[15]. Il fervore divenuto ben presto un grande fuoco, porterà il giovane prete a scrivere nel suo diario spirituale (cose
di coscienza), che avrà sempre in tasca, questo sorprendente patto filiale: Serafica Vergine, diletta sposa del Divino Verbo, S.Teresa di Gesù, Io, benché indegnissimo d’esser vostro servo, mosso nondimeno dalla vostra bontà e dal desiderio di servirvi, vi eliggo oggi alla presenza della SS.Trinità, dell’Angelo mio Custode e di tutta la Corte Celeste (doppo Maria) per mia particolar Madre, Maestra e avvocata, e fermamente propongo di volervi sempre servire, e di fare quanto potrò, che da
altri ancora siate servita. Vi supplico dunque, Serafica Santa mia, per il sangue del vostro Sposo sparso per me, che mi riceviate nel numero degli altri vostri divoti per vostro servo perpetuo. Favoritemi nelle mie azioni et impetratemi grazia che da qui avanti imiti le vostre virtù, camminando la strada vera della christiana perfezione. Assistetemi con modo particolare
nell’orazione e intercedetemi da Dio parte di quello dono, che in voi fu sì grande, acciocché contemplando et amando il Sommo Bene, i miei pensieri, parole ed opere non abbiano di offendere, benché leggermente, gli occhi vostri e del nostro Dio. Accettate questa picciol offerta in segno della servitù che vi professo, assistendomi in vita, e in particolare nell’ora della mia morte.
Seguono sette promesse riguardanti la preghiera, l’orazione e la penitenza, poi questo distico: Sia lodato Gesù, Giuseppe e Maria e S.Teresa in compagnia[16].
Alfonso non era uomo da dimenticare gli impegni. Nel 1743 consacrerà a santa Teresa la sua prima pubblicazione dal respiro e dalle dimensioni di un libro: Considerazioni sopra le virtù e pregi di S.Teresa di Gesù[17]; finché avrà occhi che reggano alla fatica, saranno gli scritti di lei che, dopo la sacra scrittura leggerà di più, citandoli più di ogni altro. Insomma Teresa de Ahumada, fu 250 anni prima che ricevesse ufficialmente il titolo, il primo dottore del Nostro dottore della Chiesa[18].
S.Francesco di Sales (1567-1622) fu l’altro grande maestro spirituale per Alfonso. Molto probabilmente dobbiamo allo stesso zio Gizzio “l’iniziazione” con S.Francesco di Sales. Francesco di Sales , come lui gentiluomo, avvocato, missionario, vescovo, venne scelto da Alfonso come modello e guida e preferito al severo Carlo Borromeo. Silvio Pellico e poi Giovanni Papini non a caso
chiameranno Alfonso “il Francesco di Sales d’Italia”. Dall’inizio del seminario S.Teresa e S.Francesco, saranno la “madrina” e il
“padrino” della santità di Alfonso.
S.Alfonso riprende molto dal vescovo di Ginevra. Ambedue possedevano una solida formazione scolastica, Alfonso disponeva forse di doti di mente più acute, di conoscenze teologiche più vaste, mentre S.Francesco di Sales era di una natura illuminata, aspirante a cose alte, intuitiva, adorna di abbondanti doni di mente, simpatico e moderato. Francesco di sales era in prevalenza un mistico, Alfonso, era principalmente uno scrittore ascetico[19].
La formazione teologica di S.Alfonso è stata una formazione all’equilibrio teologico che diventa per il Nostro un’arma. Egli non si lascia trascinare in facili e sterili polemiche né si schiera su linee d’intransigenza, come si può rilevare dalle posizioni che assume nel redigere la propia Morale. Dopo aver abbandonato le rigide posizioni del Genet, si converte all’ideale “probabilista” del gesuita tedesco Hermann Busembaum (1600-1668) e ne commenta ampiamente la Medulla Theologiae Moralis dandola alle stampe nel 1748[20].
La scelta del “probabilismo” per Alfonso certamente non fu senza angosce né crisi di coscienza come testimonia il suo quaderno
spirituale e anche le Dissertazioni, che scrisse a partire dal 1749 sul probabilismo. S.Alfonso ha spiegato ampiamente il proprio metodo. Innanzitutto egli stabilisce lo stato della questione, quindi raggruppa gli autori secondo le loro opinioni. Poi si applica
a valutare gli argomenti: In ogni problema, dopo diuturno studio, mi sono preoccupato di arrivare alla verità,
soprattutto in quelle cose che sono di maggiore importanza per la prassi[21].
Non è l’autorità degli autori che impressiona S.Alfonso ma la forza degli argomenti: Con tutte le mie forze ho cercato sempre di
anteporre la ragione all’autorità e, quando sono stato convinto dalla ragione, non ho esitato a contraddire a numerosi autori[22].
S.Alfonso, contrariamente ai giansenisti[23] e ai rigoristi, insiste molto sul ruolo della ragione in morale: L’uomo non deve rimettersi alla grazia per vincere l’ignoranza dei precetti naturali. Questa dev’essere vinta dalla ricerca personale[24]. In ultimo luogo Alfonso rimette il tutto alla coscienza: Così io mi son regolato, secondo meglio mi ha paruto, secondo coscienza[25].
Se S.Alfonso è dottore della Chiesa[26] grazie alla sua teologia morale, divenendo maestro e modello di tutti i moralisti, non poca valenza hanno i suoi scritti marcatamente dommatici. Tra le opere di taglio dommatico c’è: Verità della Fede del 1767. Alfonso vi difende il cattolicesimo[27]. Il Tannoia scrive: In quest’anno Alfonso, cioè nel 1767, e tra lo sconvolgimento, in cui vedevasi la congregazione, pubblicò la Verità della fede, o sia la sua grad’ opera in difesa della Chiesa cattolica. Fa vedere come questa è l’unica, e rivelata da Dio, e fuori di questa Chiesa, non vi è salute[28].
L’opera divisa in tre parti, delinea un’eccellente quadro dei pericoli a cui la Chiesa andava incontro attaccando con destrezza e abilità false dottrine: regalismo, gallicanesimo, febronianesimo; sottolineando con forza e tenacia il primato dell’infallibilità pontificia (un secolo prima del Concilio Vaticano I). Il libro fu dedicato a papa Clemente XIII (1758-1769) il quale gli aveva ingiunto tre anni prima, di governare la diocesi dal letto, scrisse il 4 agosto 1767: Con sommo mio piacere ho ricevuto il libro
contro i moderni errori. Con piacere l’ho ricevuto perché è vostro, avendo rilevato da altre vostre opere il talento, la dottrina, e lo zelo che nutrite per la gloria di Dio…Ti amiamo moltissimo, venerabile fratello, perché per nulla contento di essere utile alla tua Chiesa, non sopporti che vadano sciupate anche le briciole di tempo che restano ai tuoi impegni pastorali, ma le consumi tutte in simili lavori, la cui utilità non viene circoscritta nei confini della tua diocesi, ma si estende alla Chiesa Universale. Aggiunge il Tannoia: Tale, e di vantaggio era la stima, che aveva il S.Padre della dottrina, e dello zelo di Alfonso[29].
[1] T.REY-MERMET, 168; P.GIANNANTONIO, Alfonso Maria de Liguori e la cultura del suo tempo, in P.GIANNANTONIO (a cura di), Alfonso M. De Liguori e la società civile del suo tempo, op.cit., 16.
[2] T.REY-MERMET, 170.
[3] A.M.TANNOIA, I, 31-32; T.REY-MERMET, 170-171; P.GIANNANTONIO, Alfonso Maria de Liguori e la cultura del
suo tempo, op.cit., 16-17.
[4] T.REY-MERMET, 70.
[5] LETTERE, III, 439.
[6] T.REY-MERMET, 501.
[7] P.GIANNANTONIO, Alfonso Maria de Liguori e la cultura del suo tempo, op.cit., 17.
[8] Cfr. T.REY-MERMET, 181.
[9] P.GIANNANTONIO, Alfonso Maria de Liguori e la cultura del suo tempo, op.cit., 17.
S.Alfonso ammirerà e leggerà il padre della storiografia italiana, L.A.Muratori, i cui Rerum italicarum scriptores (28 volumi) cominciavano ad apparire nel 1723. Nella Istruzione ed avvertimenti ai predicatori, il Nostro santo partenopeo citerà lo stesso
Muratori in questi termini: Questa proposizione – si riferisce al modo di fare la predica – non solo è mia, ma è del celebre Ludovico
Muratori, che è stato per sentimento comune uno de’ primi letterati dei nostri tempi. S.ALFONSO, Istruzione ed
avvertimenti ai predicatori: lettera ad un religioso amico, in Opere Complete, III, 299.
[10] Cfr. C.KEUSCH, La dottrina spirituale di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Milano 1931, 63-68.
[11] O.GREGORIO, L’amore di Sant’Alfonso per la Bibbia, in SH, 14 (1966), 403-414.
[12] Santa Teresa (1515-1582), una delle penne più belle di tutta la letteratura castigliana, fu la scrittrice più instintiva prodotta dal genio spagnolo e forse dallo stesso genio cristiano. Convinta di essere capace solo di filare, lasciò il suo arcolaio per ubbidienza e scrisse come respirava senza previe ricerche, abbandonandosi letteralmente alla sua intelligenza e alla sua sensibilità. Santa Teresa ha la grande capacità di trascinare il lettore sul suo stesso cammino, portandolo dalla tiepidezza alla virtù, alla santità, alla
contemplazione, al cuore stesso di Cristo.
[13] T.REY-MERMET, 182.
[14] A.M.TANNOIA, II, 184.
[15] Non sono di poco conto le parole che D.Giuseppe De Luca premette all’introduzione generale delle opere ascetiche: (S.Alfonso) ha portato per sempre sulle labbra delle plebi cristiane più inerudite le parole di Teresa d’Avila. Cfr. G.DE LUCA, Premessa: Introduzione Generale, in O.GREGORIO, G.CACCIATORE, D.CAPONE (a cura di), Introduzione Generale alle Opere Ascetiche, Roma 1960, X.
[16] AGHR, VI, 10; A.SAMPERS, L’atto di consacrazione di S.Alfonso a S.Teresa, in SH, 23 (1975), 241-245;
T.REY-MERMET, 183.
[17] Alfonso dedicò a S.Teresa anche una canzoncina spirituale: Cfr. S.ALFONSO, Canzoncine Spirituali, in Opere Complete, I, 530.
[18] T.REY-MERMET, 183-184.
[19] C.KEUSCH, La dottrina spirituale di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, op.cit., 490-491.
[20] Nella Theologia Moralis è discussa la dottrina di 8 mila teologi, ci sono 34 mila citazioni; A.LUCIANI, S.Alfonso cent’anni fa era proclamato Dottore della Chiesa, op.cit., 28.
[21] S.ALFONSO, Theologia Moralis, op.cit., 516.
[22] Ivi.
[23] Nel decreto col quale si conferisce a S.Alfonso il titolo di dottore della Chiesa, papa Pio IX attribuisce al neo dottore il merito di aver allontanato la pericolosità della dottrina giansenista: Egli allontanò e disperse le tenebre degli errori, diffuse largamente (late) dagli increduli e dai giansenisti, con opere dotte e specialmente con i trattati di teologia morale. Inoltre chiarì alcune questioni oscure, illuminò alcune questioni dubbiose, spianando la via sicura tra le complesse sentenze dei teologi sia lassiste che rigoriste, via attraverso la quale i pastori delle anime dei fedeli di Cristo potessero procedere con piede sicuro. Cfr.
A.CAPECELATRO, II, 594-596;
Si veda a riguardo lo splendido articolo riportato nella rivista dei gesuiti “La Civiltà Cattolica”, in merito al titolo di dottore della
Chiesa conferito a S.Alfonso: Cfr. Il Concilio Vaticano e Il titolo di Dottore della Chiesa decretato a Sant’Alfonso M. De’ Liguori, in “La Civiltà Cattolica” Serie VIII, vol. III, fasc. 507 (26 luglio 1871), 285-297.
[24] Ibidem, 124.
[25] LETTERE, III, 24; L.VEREECKE, Sant’Alfonso de Liguori moralista ieri e oggi, in “La Civiltà Cattolica” 1 (1987), 371.
[26] In 2000 anni di storia, la Chiesa ha insignito di questo titolo solo 32 persone, e S.Alfonso è il più giovane , considerando il periodo che intercorre dalla sua morte 1 agosto 1787, al giorno della proclamazione a dottore della chiesa universale 23 marzo 1871.
[27] A.LUCIANI, S.Alfonso cent’anni fa era proclamato Dottore della Chiesa, op.cit., 28.
[28] A.M.TANNOIA, III, 189.
[29] Ibidem, 190-191.
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