P. Giuseppe Ferraioli (1913-1996) – Italia.
Una lunga malattia, una altrettanto lunga degenza a letto, che ha costituito per lui un purgatorio anticipato sulla terra, ha condotto fin sulla soglia dell’eternità P. Giuseppe Ferraioli.
Anche se negli ultimi anni le condizioni di salute ne avevano praticamente resa nulla l’attività, possiamo dire che la sua figura ci mancherà molto: innanzitutto per l’esempio luminoso di come ha condotto la sua ultima sofferta esperienza, per la carica umana che ha saputo sempre trasmettere fino agli ultimi giorni di vita, per ciò che essenzialmente P. Ferraioli era, indipendentemente da quello che in precedenza aveva fatto.
Ottantatré anni non è facile riassumerli nella rievocazione di poche righe: ma attraverso il ricordo di date e di luoghi l’unico intento è di rendere grazie ancora una volta al Signore per avere arricchito la nostra famiglia religiosa di un confratello come P. Giuseppe.
Egli era nato a Pagani (SA) il12 marzo 1913 da Domenico e Fusco Rosa, in una famiglia destinata a diventare numerosa (in tutto arricchita di 8 figli).
Al fonte battesimale, tre giorni dopo, gli fu posto il doppio nome di Giuseppe Carmine, ma sin da piccolo – come si addice ad ogni buon paganese – dové subire il fascino di sant’Alfonso, se è vero che a 18 anni, precisamente il4 ottobre 1931 emetteva la sua professione temporanea tra i Redentoristi, e precisamente nelle mani del P. Gioacchino Jacovino: suo compagno di professione era proprio P. Luigi Romano, che lo ha preceduto di poco nell’appuntamento con la morte. Era il giorno dedicato a san Francesco d’Assisi, e P. Giuseppe dové pensare di imitarlo, nel rinunciare alla triplice concupiscenza che governa il mondo: quella dell’avere, del potere e del piacere.
Dopo aver resa definitiva questa sua Professione religiosa era il 15 ottobre 1935- P. Giuseppe non aveva da coltivare che un sogno, quello di arrivare al Sacerdozio, meta che raggiunse il 24.10.1937, a S. Angelo a Cupolo, ordinato da S. Ecc. Mons. Agostino Mancinelli, Vescovo di Benevento.
Il suo spirito gioviale, oltre che la sua specifica preparazione lo segnalarono ai Superiori per il ruolo di insegnante nel nostro educandato di Lettere: era il1938, ad ordinazione dunque da poco avvenuta. Questo servizio fu da lui reso per un arco complessivo di 17 anni, anche se interrotto da altri incarichi: dal1947 al1950 lo ritroviamo infatti Sacrista a Pompei, nel1955 Superiore a Teano, nel 1958 di nuovo a Lettere come insegnante degli aspiranti; nel 1961 a Pompei come penitenziere; nel 1967 a Lettere come economo, un altro dei suoi ruoli più a lungo occupati, in questo caso (tenendo presente anche una parentesi precedente) per 12 anni.
Nel settembre 1976 le cronache lo segnalano a Teano, dove svolge anche il servizio di confessore ordinario del seminario; a Settembre del 1981 è a Marianella come vicario ed economo, e infine dal 1983 un malessere cronico agli arti inferiori ne consigliarono il ricovero presso la nostra casa di cura a Pagani, dove ha trascorso gli ultimi anni di vita.
Naturalmente questo problema iniziale ne ha portati con sé altri: piaghe da decubito, difficoltà respiratorie, disturbi cardiocircolatori. Un lungo calvario, vissuto con edificante rassegnazione, che ha conosciuto la sua tappa finale alle 11,30 del 24 febbraio 1996.
Di questa figura non posso che ricordare i tratti che tutti abbiamo avuto modo di intravedere e apprezzare: di lui mi rimarrà, ci rimarrà impresso innanzitutto la giovialità, un carattere allegro, pronto allo scherzo, al racconto simpatico, ad un “napoletano” senso dell’ umorismo, all’arguzia detta al momento giusto. Una giovialità che non è venuta meno, anzi si è resa via via più esemplare e stupefacente mentre la morte si avvicinava inarrestabile: i confratelli mi hanno detto che fino a tre giorni prima della morte hanno dovuto porre fine ai suoi racconti e alle sue facezie, per non stancarlo più del necessario.
Accanto a questa santa allegria va ricordata la paziente rassegnazione con cui P. Giuseppe ha portato la sua croce: e non si tratta di una croce del peso di una piuma. Nonostante ne avesse i motivi, non si è lamentato più di tanto, la sua stanza era un luogo in cui era piacevole fermarsi perché da quella cattedra si dettavano ogni giorno lezioni di fiducia e di ottimismo.
Un ultimo elemento della carta d’identità di P. Giuseppe mi piace ricordare: forse il meno appariscente di tutti, ma certamente quello che spiega tutti gli altri. Alludo al suo spirito di preghiera, una preghiera sommessa, fedele, che negli ultimi tempi era diventata un tutt’uno col suo stesso respiro. Una preghiera che- da buon figlio di S. Alfonso- P. Giuseppe era solito riservare con calore e affetto alla Madonna, la madre del bell’amore e causa della nostra gioia.
Voglia P. Giuseppe continuare questa preghiera dall’ altra sponda della vita. Voglia impetrare per noi il dono della santa allegria, così decisiva per realizzare il Vangelo fino in fondo. Gesù non è venuto per altro motivo: “tutto questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).
P Antonio Di Masi
Superiore Provinciale
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dalla Lettera Circolare
del 9 marzo 1996
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