9. Eccomi, mio Dio
9. Eccomi, mio Dio
Monsignor de Liguori è rimasto vescovo di S. Agata dei Goti fino al 1775. Quando il Papa accettò la sua rinuncia all’episcopato, con tono scherzoso gli si disse: «Monsignore, sembrate ringiovanito e di nuovo ristabilito – Eh! sì, rispose, mi sono scaricato dalle spalle il monte Taburno!». Il monte Taburno era la montagna che dominava la sua piccola diocesi.
Sollevato dall’incarico dell’episcopato, Alfonso continua la sua missione: scrive, prega, riceve udienza, lavora fino all’estremo limite delle sue forze. Le sue pubblicazioni arrivano al numero di 111. Parecchie sono libri tascabili di pietà popolare, ma i più importanti sono i grandi volumi della sua Teologia Morale.
Ciò che caratterizza questa opera colossale è il non essere progettata come un insegnamento di dottrina cristiana: Alfonso non è un professore. E’ un pedagogo. Per lui, come per i Padri della Chiesa, la Bibbia non è innanzitutto una legge, è principalmente formazione. Tutta la sua opera si propone come crescita della maturità cristiana capace di soddisfare le più alte aspirazioni dell’umanesimo del secolo dei Lumi.
Riassume così la preoccupazione dei Padri greci, come Clemente di Alessandria o Gregorio di Nissa che concepirono una pedagogia cristiana costruita a partire delle risorse della pedagogia greca.
Alfonso non ha perso mai tempo nella sua vita; egli aveva scritto nella la“Via della salute”: «Come mai dagli uomini non vi è cosa più disprezzata del tempo? Quegli si trattiene cinque o sei ore a giocare, quell’altro se ne sta ad una finestra o in mezzo ad una via per molto tempo a guardare chi passa; se domandate loro che fanno? rispondono che fanno passare il tempo.
O tempo disprezzato, tu sarai la cosa più desiderata da costoro in morte…. Il tempo di morte è tempo di notte, in cui non si vede più e non si può fare più niente. Perciò avvisa lo Spirito Santo a camminare nella via del Signore, or che abbiamo la luce, e ancora è giorno… Chi sa, se questa meditazione che ho letta, è l’ultima chiamata per me! ».
Alfonso continua la sua missione fino alla fine. Fino alla croce.
Nel 1781, conosce la prova suprema per un fondatore: la sua giovane congregazione, per decisione del Sommo Pontefice è divisa in due. Infatti, in seguito ad un negoziato difficile per ottenere l’approvazione dal re di Napoli, negoziato che Alfonso non ha potuto seguire personalmente a causa dell’età, Pio VI coglie l’occasione per affermare i diritti dello Stato Pontificio sul “regalismo” di Ferdinando IV: rifiuta di riconoscere il “placet” o “regio exquatur” del re e non riconosce più come case religiose se non quelle situate nello Stato Pontificio.
Più tardi, dopo la morte di Alfonso, Pio VI dichiarerà: «E’ un santo!.. ho fatto soffrire un santo!». Ma, per il momento, Alfonso è schiacciato dal dolore. Eppure, egli ripete : «Dio mi basta, mi basta la sua grazia. Il Papa vuole così: Dio sia benedetto!».
Avvicinandosi alla morte, Alfonso celebra la messa per l’ultima volta il 25 novembre 1785: «Gesù Cristo non vuole più che celebri. Sia fatta la sua volontà». Egli è ancora più desideroso di ricevere l’Eucaristia: «Datemi Gesù Cristo», supplicava spesso. E trascorreva ore intere davanti al tabernacolo.
E’ facile immaginare il santo in adorazione eucaristica mentre recita la preghiera scritta alle prime pagine delle sue Visite al Santissimo Sacramento:
Signor mio Gesù Cristo, per l’amore che porti agli uomini, te ne stai notte e giorno in questo Sacramento, tutto pieno di pietà e di amore, aspettando, chiamando e accogliendo tutti coloro che vengono a visitarti. Ti credo presente nel Sacramento dell’ altare; ti adoro dall’ abisso del mio niente e ti ringrazio di quante grazie mi hai fatte, specialmente d’avermi donato te stesso in questo Sacramento, di avermi dato per avvocata la tua santissima Madre Maria e di avermi chiamato a visitarti in questa chiesa. Saluto oggi il tuo amantissimo Cuore……
Gesù mio, ti amo con tutto il cuore. Mi pento avere per il passato tante volte disgustato la tua bontà infinita. Propongo con la tua grazia di non più offenderti per 1’avvenire; e al presente, misero qual sono, mi consacro tutto a te, ti dono e rinuncio tutta la mia volontà, gli affetti, i desideri e tutte le cose mie. Da oggi in avanti fa’ di me e delle cose mie tutto quello che ti piace. Solo ti chiedo e voglio il tuo santo amore, la perseveranza finale e l’adempimento perfetto della tua volontà».
Il 16 luglio 1787, una febbre altissima preannuncia ormai la sua fine imminente. Nei rari momenti di coscienza, lo si udiva invocare: «Eccomi, mio Dio!» oppure «Vieni, mio Gesù!».
Il 30 luglio, «come gli fu presentato un crocifisso, manifestò il desiderio di averlo tra le mani; lo strinse con amore e tentò tre volte di baciarlo.
L’indomani primo agosto….spirò nel Signore, mentre si diffondevano i rintocchi dell’Angelus».
Alfonso vive il suo ultimo apostolato: la partecipazione alla morte e alla risurrezione di Gesù: l’ultimo dono della sua vita; ora poteva donare tutto, definitivamente.
La morte, per Gesù in croce, è l’ora della manifestazione più grande dell’amore e lo è anche per Alfonso: l’incontro finale con Gesù . Questo suo ultimo incontro si inserisce in una lunga amicizia. E’ l’incontro con il Risorto, il sole di Pasqua che dissolve le tenebre di quaggiù…. e l’invita ad entrare nella sala del banchetto del Regno.
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Nota dell’editore: il profilo riportato è solo un estratto dell’operetta in francese “Prier 15 jours avec Saint Alphonse” , non ancora pubblicato in Italia – Si spera di non ledere alcun diritto di autore… In caso contrario, se sarà dato avviso, questo post sarà rimosso.
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La morte del Santo
da “Evangelizare pauperibus” – Studio R. München 1987
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9. NONO GIORNO Dalla rinunzia de Vescovado sino all’ ultima sua infermità. |