20. È meglio obbedire a Dio che agli uomini
Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi
(At 4,19)
Quando vengono gli amici cattivi e ti dicono: “Che stranezze sono le tue? Perché non fai come tutti gli altri?”, allora rispondi: “Non tutti fanno così. Ci sono di quelli che fanno una vita santa. Non sono molti, ma io voglio seguire loro, perché il Vangelo dice: Molti sono i chiamati, pochi invece gli eletti (Mt 20,16 Vg)”.
“Se vuoi salvarti con i pochi, vivi come i pochi”, scrive san Giovanni Climaco. “Ma non vedi che tutti ti criticano e dicono male di te?”. Tu rispondi: “Mi basta che non ne dica male Dio”.
Che cosa è meglio: obbedire a Dio, oppure agli uomini? Gli apostoli Pietro e Giovanni ai sacerdoti giudei risposero così: Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi (At 4,19).
“Come fai a sopportare un’ingiuria così grave? Non vedi che hai perso la faccia davanti alla gente? Come puoi restare impassibile?” Tu rispondi: “Sono cristiano, mi basta salvare la faccia davanti a Dio”. Così bisogna rispondere ai “satelliti del demonio”; così bisogna disprezzare i loro giudizi e i loro rimproveri.
Anzi, difronte a chi s’infischia di Dio, bisogna farsi coraggio e riprenderlo alla presenza di tutti, come scrive l’Apostolo (cf. 1Tm 5,20). Quando c’è di mezzo l’onore di Dio, diciamo senza soggezione a colui che sbaglia: “Questo è peccato, non devi farlo”. Così fece Giovanni Battista il quale, al re Erode, che conviveva con la moglie di suo fratello, ebbe il coraggio di dire: Non ti è lecito tenerla (Mt 14,4).
Alcuni ci riterranno pazzi e ci prenderanno in giro, ma nel giorno del giudizio riconosceranno che i pazzi sono stati loro, mentre noi avremo la gloria di essere annoverati tra i santi e tra i figli di Dio. Allora essi diranno: Ecco coloro che noi una volta abbiamo deriso… Noi, stolti, giudicavamo la loro vita una pazzia e la loro morte disonorevole. Ora invece essi sono annoverati tra i figli di Dio e condividono la sorte dei santi! (Sap 5,3-5 Vg).
(dai Sermoni Compediati, XXVII, 13).