Di Netta Vito Michele redentorista

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P. Vito Michele Di Netta, C.Ss.R. 1787-1849 – Italia
“L’allegro podista” di O. Gregorio

P. Vito Michele Di Netta, C.Ss.R. 1787-1849
L’allegro podista
(i titoletti sono redazionali)

Il redentorista Venerabile P. Vito Michele Di Netta, C.Ss.R. 1787-1849 – Italia, Provincia di Napoli.  A  100 anni dalla morte P. Oreste Gregorio dedica questo profilo biografico su L’Osservatore Romano (1949/10/07, p.3).

Dati Ufficiali

  • Cognome = Di Netta
  • Nome = Vito Miche Di Netta
  • Nazionalità = Italia –(Provincia di Napoli)
  • Nato = 26-Feb-1787
  • Morto = 03-Dic-1849
  • Professione = 29-Gen-1806
  • Sacerdote = 30-Mar-1811
  • Venerabile = 07-Lug-1935

Il fronte missionario
Terra dl missione è tutto il globo a cominciare dalla zolla asfaltata, su cui posiamo comodamente il piede noi Mediterranei. La missione cattolica è azione altissima di bene, che si svolge tra vicende umane, spesso avverse e si conclude nel volume eterno.
È assedio compiuto con armatura spirituale, è assalto pacifico delle coscienze, per snidarvi il peccato, che tende miseri i popoli e gli individui, e bonifica morale…
Quanti persino in Italia, benché battezzati e cresimati, vivono poi come quelli che dimorano presso le frontiere della Mongolia o magari alla Mecca?.. Il fronte missionario è da per tutto, perché gli emissari di Satana sono nell’Africa nera e sulla soglia linda delle nostre case.

La Calabria
La Calabria nelle prime decadi dell’Ottocento non era una Tebaide o una Calcide salmodiante, etnicamente si considerava discosta da Napoli come una regione dell’Oltremare!
San Francesco de Gironimo l’aveva cent’anni prima qualificata pittoresca come una posizione dell’India. Le tristissime condizioni religiose persuasero S Alfonso M. de Liguori a spedirvi, sin dal 1756, le sue giovani falangi missionarie, che m spinsero coraggiose a Mormanno e intavolarono subito trattative per una fondazione in Rotonda.
Quando nel 1811 vi approdò il Venerabile P. Vito Di Netta, l’aspetto non era diverso, specie in talune zone interne montagnose, dominate dai briganti.
Era nato a Vallata (Avellino) nel 1787, l’anno in cui S. Alfonso, pieno di menti, scese nel sepolcro. Ereditò lo spirito genuino di questo grandissimo evangelizzatore popolare, che scosse l’egoismo europeo del Settecento col suo amore alle anime più abbandonate dei paesetti rurali
Il Superiore generale P Pierpaolo Blasucci, al quale erano note le virtù maschie del giovane Irpino, l’inviò nella difficile missione calabrese, che stava al cuore anche del Governo borbonico.
Il Di Netta, scorgendovi quasi un’investitura divina, giubilante scriveva allo zio arciprete: «Domani partiremo per le Calabre.. lo ne vado contento, perché ci scopro in questo la volontà di Dio». E si allontanò dal Vesuvio per raggiungere il campo assegnatogli, ove restava fedele sino alla sera della vita per trentasette anni.

P. Vito Di Netta
Da abile stratega P. Vito Di Netta stabili il suo quartiere generale a Tropea, angolo riposante della costa tirrenica, per agevolare i propri movimenti terrestri e marittimi. E apparve come una potenza spirituale continuamente mobilitata, sempre nella trincea apostolica, in allarme, per accorrere alle chiamate di Vescovi e parroci.
Presto si rese conto delle inquietudini divoranti e delle aspirazioni angosciose delle folle. Anche i Calabresi dalla fede rupestre erano stati aggrediti dalla demagogia acida dei rivoluzionari. Il vento della miscredenza, dopo aver ululato nei caffè di Cosenza e Catanzaro, era passato per le piazzette dei borghi della Sila, accumulando rovine. Il missionario intuì che bisognava innestare Cristo in quel popolo derelitto o tradito. Il lavoro era arduo ed ampio: non si spaventò; si accinse all’impresa con l’amoroso zelo del seminatore evangelico, che ha fiducia nella rugiada della Grazia.

L’allegro podista
P. Di Netta non era un missionario improvvisato, che recavasi laggiù col bagaglio di un conferenziere o col gusto di un turista. Da chierico, nei Collegi di studio, affidati alle premure sagge dei discepoli immediati di S. Alfonso, era stato allenato alle dure fatiche col miraggio della gloria di Dio e della salvezza dei peccatori. Ora scendeva nella mischia col fervore della recluta e con l’accorgimento del veterano, Le sua formazione all’apostolato era stata totalitaria.
Temprato saldamente, pensò con gioia di appartenere al corpo di guardia del Redentore, crociato della verità ed esploratore di doni celesti, più degno di gloria dei leggendari ulissidi ed argonauti.
In Calabria si trattava di marciare fino agli avamposti. Ed egli infaticabile, col veliero battuto dalla burrasca, sul baroccio tirato da buoi sonnolenti, sul dorso dl un mulo capriccioso e più sovente a piedi, marciò da ottobre a giugno, per oltre sette lustri, baldo soldato di Cristo.
Inarrestabile, sotto il sole, tra la neve, sotto la pioggia scrosciante percorse viuzze ripide e fangose, colline scabre, vallate paludose, ansante, con la bisaccia in mano, seguito dal fratello converso, che portava gli attrezzi della Missione. Come allegro podista e paziente facchino si arrampicava per le giogaie degli Appennini e scendeva sul lido in cerca di anime desiderose di salute, esploratore di Dio.
Benché poveramente vestito, con ispida barba, macilento, era ovunque accolto come un angelo, egli si riconosceva quale «ciuccciarello della comunità» tropeana, di cui fu quasi perpetuo rettore.
E quest’angelo pieno di mitezza assumeva toni apocalittici, annunziando verità eterne. A Briatico. Molochio, Drapia, Tresilico, Delianova, Sinopoli, Amantea non tenne concioni aeree; né fu rettore lezioso a Nicotera, Gerace, Corigliano, Reggio e Catanzaro.

Il missionario
In tutte le borgate della Calabria, che amò come novella patria, P. Di Netta bandì il messaggio del Vangelo con semplicità spoglia di ampollosità. L’amore ardente a Gesù Cristo gli dava eloquenza vibrante e persuasiva.
Le sue prediche difatti non mostravano aggeggi; né erano ornate di sonagli stilistici le sue istruzioni catechistiche. Usava locuzioni familiari e talvolta dialettali in una cornice folcloristica per maggiore perspicuità linguistica. Tuttavia i concetti non erano superficiali: si avvertiva il travaglio delle prolungate meditazioni in ginocchio. La prosa innocente, intessuta di testi biblici e citazioni patristiche, incantava le vecchiette analfabete e stupiva il severo filosofo dl Tropea, Pasquale Galluppi.
Si atteneva ai metodo alfonsiano, che vivificava con un suo accento personale. La predica sulla Misericordia divina assicurava sin dall’inizio l’esito delle missione: apriva una breccia; quella finale intorno al patrocinio della Madonna, riboccante dl tenerezza filiale, sfondava gli ultimi fortilizi degli ostinati. Era «il suo corpo di riserva», come soleva dire bellamente.
Fiorivano sul labbro del missionario le profezie e le scrutazioni dei cuori, chiusi alla luce ermeticamente. Predicava, confessava, nel margine del tempo pregava e di notte flagella vasi aspramente.
Non si accordava privilegi: eleggevasi il peggio. Pretendeva la camera più scomoda, il cibo più dozzinale, la cavalcatura pio dimessa.
Tali sacrifici ottenevano conversioni inaspettate Secondo i cronisti coevi, le piccole bablionie al suo passaggio si mutavano in devote Gerusalemme.

A 100 anni dalla morte
I Calabresi, che l’ammiravano come un profeta e l’obbedirono come un maestro, preferirono chiamarlo padre: fu tale soprannaturalmente
Nella corrente data centenaria, il ricordo si è ravvivato Il P. Di Netta si spense il 3 dicembre del 1849: l’aveva predetto sei mesi avanti: «Io morrò nel giorno di S. Francesco Saverio, apostolo delle Indie». Si fece il segno della croce e partì con la letizia di un predestinato dai dolori della terra alla beatitudine del Cielo.
Nel 1935 Pio XI proclamò l’eroicità delle virtù di questo incomparabile modello dei missionari popolari, non a torto chiamato Apostolo della Calabria.

Oreste Gregorio
In l’Osservatore Romano
07/10/1949, p.3.

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