P. Gioacchino D’Elia (1832-1861) – Italia.
P. Gioacchino D’Elia (1832-1861)
Gioacchino Gennaro Maria D’Elia, figlio di Luigi, giudice, e di Guastamacchi Lorenza, nacque il 10 gennaio 1832 a Terlizzi BA). Professò nell’Istituto il 14 marzo 1851 e fu ordinato sacerdote il 2 giugno 1857.
In una breve biografia, P. Vittorio Lojodice dice che D’Elia era di robusta costituzione, ma malaticcio. Sembrava un S. Luigi Gonzaga, essendo adorno di molte virtù: osservante della regola, studioso, caritatevole, obbediente, paziente, povero, umile, cotante, distaccato dai genitori e dalla patria. A causa della cattiva salute, rimase due anni indietro ai suoi compagni di corso. Nutriva particolare devozione alla Madonna Addolorata.
Una sua sorella si fece monaca redentorista e Gennaro, suo fratello minore, entrò tra i Gesuiti.
Gioacchino fu pazientissimo nelle cose avverse e conformato in tutto ai divini voleri. Nelle sue malattie di più anni non poté notarsi in lui alcun atto benché minimo d’insofferenza, eppure più di una volta si ridusse agli estremi della vita, e per due volte gli furono amministrati gli ultimi Sacramenti. Basta dire che essendo noi presenti, il nostro Prefetto P. Alessandro Ammirati, benché così circospetto e misurato nelle parole, come si sa da chi lo conosce, nelle conferenze spirituali che ci faceva nel tempo dell’infermità del nostro Gioacchino ce lo proponeva come modello di pazienza e di uniformità alla volontà di Dio.
D’Elia aveva fatto voto di recarsi alle missioni tra gli infedeli. Nell’attesa che si presentasse l’occasione propizia, col permesso dei superiori studiò l’inglese e il francese. Quando il semaforo dell’evangelizzazione dette via libera alle sue aspirazioni, facendosi eco del salmo 121, scrive al P. Berruti: “Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore”.
Ai genitori spiega la sua scelta del Casanare e, come gesto di impegno totale nella missione, rinunzia liberamente al suo patrimonio.
La sua morte
Padre Gioacchino era stato nominato parroco di Arauca nel Casanare (Colombia) e nutriva il desiderio del martirio; e questo non giunse per mano di un carnefice, né da un cannibale o dalla randellata di un indio, bensì per una piaga nel piede o la puntura di un insetto. Quante persone, quanti missionari sono morti così!..
«Le patetiche vicende di quella Repubblica – riferisce Padre Lojodice – mi hanno proibito di poter avere ulteriori notizie del nostro Gioacchino. Dirò solamente qualche cosa della sua morte, come mi fu riferita da persone che si trovavano presenti.
E prima d’ogni altro narrerò cosa che ha del prodigioso.
Trovavasi l’unico suo superstite compagno [che era lo stesso Lojodice] nel giorno stesso della morte di Gioacchino a sei giornate di cammino in distanza del luogo dove quella avvenne. Non sapeva quegli, né potevano sapere altri, la infermità del P. D’Elia. Eppure più d’uno si fece a domandargli se fosse vera la morte del giovane padre. Lascio ad altri il giudicare di questo incidente.
In verità, P. Gioacchino, avendo celebrata la novena e festività del santo Natale nel villaggio di Arauquita, s’infermò, non so se dalle fatiche o dal morbo che di tempo in tempo suol fare deplorabili stragi fra quella gente come in altri punti dell’America.
Conoscendo o pronosticandosi già prossimo il termine della sua vita, lasciò scritte alcune memorie per il bene della sua Missione e, desiderando di finire i suoi giorni nel villaggio principale di sua pertinenza, pregò di essere trasferito così infermo ad Arauca. Non potendosi viaggiare diversamente, fu adagiato nel miglior modo possibile in una barchetta.
Navigarono già per due o tre giorni e prossimo e quasi in vista del desiderato villaggio, oppresso dalla gravezza del suo male e vinto dagli stenti del viaggio, il giorno 6 di gennaio, giorno solenne per la manife-stazione del divin Redentore ai Gentili, verso le 5 ore della mattina nell’anno 1861, dopo 14 mesi di sua apostolica vita in Casanare, non avendo ancora compiuto il trentesimo anno di sua età, volava l’anima sua dall’esilio di questo mondo per andar a ricevere il premio delle sue fatiche, delle sue buone opere, dei suoi santi desideri.
Tal fu la morte del virtuoso giovine missionario Gioacchino Maria D ‘Elia della Congregazione del SS. Redentore. Morte che può dirsi incontrastata per la carità e perciò invidiabile, piuttosto che meritevole di lacrime».
«Io da mia parte, per quel che conosco delle sue virtù, ho ferma fiducia ch’egli al presente stia godendo della felicità dei Santi e spero che dal cielo, rivolgendo i suoi sguardi fra quella gente derelitta, ch’egli imprese a ridurre quali agnelle all’ovile di Gesù Cristo, voglia pregare incessantemente il Padre delle Misericordie che mandi nuovi operai evangelici in quella vastissima messe per la conversione di tanti ciechi infedeli, che vivono come le bestie, erranti in quelle selve, e per il vantaggio spirituale di quei fedeli privi al presente di ogni religioso soccorso in quelle calde ed estese pianure, come gregge senza pastore, che possa guidarli ai pascoli della vita eterna.
Il giorno 6 del passato gennaio piacque a Dio chiamare a sé il P. D’Elia e privare le nascenti missioni di Casanare di quel zelante, pio e virtuoso operaio.
Ritornando da una riduzione da lui sotto ottimi auspici fondata, non lungi dalla confluenza dell’Arauca coll’Orinoco, spirò egli in una fragile barchetta, in mezzo al fiume, in conseguenza di una febbre cancrenosa, che sviluppò una piccola piaga alla gamba, prodotta probabilmente da qualche velenoso insetto».
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Estratto dal libro di
Àlvaro Córdoba Chaves cssr
Dall’Italia all’America del Sud
Tre redentoristi danno la vita per gli indios
Missionari Redentoristi – anno 2000
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La sua penosa sofferenza allo studentato:
le testimonianze dei confratelli.
- «Nel dicembre 1854, dopo la proclamazione dell’Immacolata Concezione di Maria, divenne il giovane Gioacchino ossesso: bestemmiava l’Immacolata e Pio IX, e diceva: «Ah Pio, Pio, me la pagherai!». Si faceva tanto piccolo da porsi sotto una sedia. Si metteva fuori i balconcini dello Studentato coi piedi in alto e con due dita sole poggiate sulla ringhiera. Saliva sui tetti, sul campanile senza scale e faceva tante altre stranezze…
D’Elia era un angelo, il più osservante. Fece voto di andare a predicare agl’Infedeli e col permesso di Pio IX si ordinò Sacerdote e subito partì con P. Tirino per la Nuova Granata [oggi Colombia], ove morì da santo il 6 gennaio 1861…(P. Cianciulli Domenico, compagno in Pagani)». - «P. D’Elia cadde infermo a Deliceto, e non si poteva conoscere la malattia. Mandato a Pagani, fu scoperto ossesso. Il demonio gli chiudeva la bocca quando stava per mangiare e quando si doveva comunicare. Fu una mortificazione per quel santo giovinetto. Partì per le Missioni estere e morì»
(P. Mautone Francesco altro suo compagno). - «In Congregazione mi si raccontò che P. D’Elia da studente era ossesso, ma ad intervalli, e nello stato di ossessione bestemmiava, specialmente, la Madonna Immacolata, torceva gli scanni del letto, si metteva fuori delle finestre a Pagani, tenendosi con un dito solo. Tutti gli esorcismi non valsero a cacciare il Demonio. Pio IX ordinò che gli si desse la Messa e finì l’ossessione. – Quando era ossesso teneva sulla bocca «S. Croce di Bogotà»; e capitò a Bogotà nella provincia della Nuova Granata (Colombia), di cui è la capitale, quando andò alle Missioni di America». (P. Barone Pietro).
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Spunto tratto da Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone –
vol.2 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.
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