(◊ in Italia) Fratello Vito Curzio (1706-1745) (Ω in Italia)
Fratello Vito Curzio. Deliceto (Italia), 1745.
Vito Curzio era amico del P. Cesare Sportelli, ma non gli somigliava affatto. L’esempio di questo lo spinse a chiedere l’ammissione nella Congregazione. Nato ad Aquaviva nel 1706, da onestissimi genitori, Vito si manifestò molto irascibile fino a ventisei anni. Era orgoglioso ed arrogante, desideroso del bene come del male, senza contare il numero dei suoi duelli.
Dopo la conversione, fece un rapido progresso nella virtù sotto la guida di S. Alfonso. Ebbe a sostenere aspri combattimenti contro l’orgoglio, ma gli esempi di santità che continuamente aveva sotto gli occhi lo determinarono a condurre una santa vita. Vito cresceva ogni giorno in grazia ed in virtù. L’orgoglioso ed insolente giovane era diventato umile, servizievole e amabile servo di Dio. Accettava senza dire una parola le umiliazioni e mortificazioni più immeritate.
Fece penitenza fino all’eccesso, mortificando il corpo giorno e notte. Dormiva sul tavolato, portava cinture con punte di ferro appuntite e si dava la disciplina fino al sangue.
Il fiero gentiluomo di un tempo, ora umile come un bambino, univa all’incarico di cuoco quello di panettiere. Un giorno, avendo dimenticato di mettere il lievito nella farina, tirò dal forno un pane duro come piombo che nessuna mascella poteva sbriciolare. Vito, indignato contro se stesso per una tale mancanza di attenzione, disse: «Hai rovinato il pane della comunità, ebbene, lo mangerai tutto tu» e pertanto riservò a sé questa sfortunata infornata: tutti i giorni pestava in un mortaio, per la sua parte di cibo, un pezzo di questo pane che i cani avrebbero rifiutato. Ne ebbe per un intero mese.
Siccome era fratello laico in Congregazione, fu obbligato ad andare a questuare per le comunità in difficoltà. Contrasse allora una grave malattia che lo annientò in alcune settimane. Morì, di sabato, in una pace celestiale. Subito il popolo esclamò: “È morto il santo!” – S. Alfonso cantò la messa con gli occhi pieni di lacrime, interrompendo spesso le preghiere, perché i singhiozzi gli soffocavano la voce. Il vescovo di Lacedonia conservò il cranio di Fratello Vito per vent’anni sul suo inginocchiatoio.
S. Alfonso pubblicò un compendio della vita e delle virtù di questo buon servo di Dio, affinché servisse come modello ai Fratelli laici della Congregazione. —«Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt». Gal. 5-24.
P. BERTHE. Vita di S. Alfonso I, p. 295.