Chierico Domenico Blasucci (1732-1752) – Italia.
Il 5 marzo 1732, a Ruvo del Monte, nasceva il ven. Domenico Blasucci, « giglio olezzante della famiglia Redentorista ». Ne emanò la fragranza già sul nascere, quando la levatrice, liberatolo da un cordone carnoso che lo cingeva fortemente, disse alla madre: « State allegramente, perché non solo è nato un bel figliolo, ma un santo… ». Infatti, al primo apparire alla luce, il bambino alzava in alto i teneri braccini e subito li ripiegava sul petto in segno di croce.
Ricevé il Battesimo il giorno dopo la nascita. La stola candida della innocenza, di cui allora fu rivestito dalla grazia, la conservò poi sempre. Il suo Direttore spirituale poté scrivere a S. Alfonso: « È rimasto nello stato della innocenza battesimale ». E il P. Tannoia testimonia: « Il bel giglio della purità germogliò nel servo di Dio fin dalle fascie, e vi si mantenne immacolato sino alla tomba ».
Dal fratello di una zia, Don Lorenzo Fungaroli di Caposele, il quale narrava le meraviglie della missione predicata a quel popolo dal fondatore P. Alfonso De Liguori, ebbe la prima notizia della esistenza della Congregazione del SS. Redentore. Mentre quel signore parlava, tra sé medesimo ripeteva: « Sarò anch’io uno di essi; voglio divenire figlio di un tanto santo ».
Nel dicembre 1749, fece domanda per l’ammissione al P. Villani, che si trovava in Atella e poi a Rionero per i Santi Esercizi; e il 21 dicembre, tra le lacrime della madre che, pur adorando la volontà di Dio, lo piangeva come morto, partiva da casa per giungere, il 24 dicembre, al noviziato di Ciorani. Vestì l’abito religioso il 2 febbraio 1750.
Frutto del suo studio per la perfezione fu un « librettino » di propositi, di massime, giunto a noi soltanto copiato e dimezzato.
Sua virtù predominante fu l’amore alla penitenza, intesa non solo come mortificazione esteriore, ma anche come abnegazione del proprio giudizio, distruzione della stima propria, e lotta contro le passioni. S. Alfonso ebbe a scrivere su questo punto: « L’unico difetto in lui notato, se tale possa dirsi, fu una certa troppa avidità di mortificazioni».
L’anno seguente, nel giorno della Purificazione di Maria Vergine, emise la Professione religiosa. Seguirono gli studi nella Casa di Pagani. Non si arrestò la sua ascesa alla santità, con l’esercizio della presenza di Dio « fomentato dall’uso delle giaculatorie, così frequenti che, per quanto fossero gravi le distrazioni, veniva tosto rapito nel Signore ».
Un male terribile lo minava da molto tempo: la tisi. Per curarla o ritardarne le conseguenze, i Superiori lo inviarono a Ciorani, poi a Deliceto, indi di nuovo a Pagani e finalmente la Madonna lo volle a Materdomini.
L’ultimo periodo della inesorabile infermità fu quanto mai prezioso per la corrispondenza epistolare che il Servo di Dio teneva coi maestri e compagni. La offerta dei suoi patimenti e l’ardente desiderio di non lasciare deserto il suo posto nella Congregazione gli otteneva dal Signore la vocazione del fratello Pietro Paolo, il quale fu uno dei più eminenti soggetti dell’Istituto e meritò di essere eletto a secondo successore di S. Alfonso. « Ora muoio contento! » esclamava, ritenendo compiuta la sua missione sulla terra.
Quando rese la bell’anima a Dio, accanto al Tempio di Maria, contava 20 anni, mesi 7, giorni 28. Era il 2 novembre 1752.
Il P. Cafaro si era opposto al suo trasferimento in un clima migliore, dicendo: « No, resti qui questa gioia di Paradiso!… ».
P. Mario Gagliardo
S. ALFONSO, 1952, pag. 71
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Profili tratti da
Nella luce di Dio, Redentoristi di ieri.
del P. Francesco Minervino, Pompei 1985