11. Teco vorrei, Signore Strofette per la Via Crucis Autore dei versi è l’Abate Metastasio; le strofette sono ancora in uso presso molte comunità con aggiornamento del testo. Teco vorrei, Signore, oggi portar la croce, nella tua doglia atroce io ti vorrei seguir. Ma troppo infermo e lasso, donami tu coraggio, acciò nel mesto viaggio non m’abbia da smarrir. Gesù, Gesù mio bene, stampate nel mio cor le vostre pene. (Si ripeta in ogni stazione.) Tu col prezioso sangue, vammi stampando i passi, ch’io laverò que’ sassi col mio lagrimar. Né temerò smarrirmi pel monte del dolore, quando il tuo santo amore m’insegna a camminar. Stazione I Se il mio Signor diletto a morte hai condannato, spiegami almen, Pilato, qual fu il suo fallir? Che se poi l’innocenza, error da te si appella, per colpa cosl bella potessi anch’io morir. Stazione II So che dal suo supplizio Reo appar chi’l porta, so che la pena è scorta del già commesso error. Ma se Gesù si vede di croce caricato, paga l’altrui peccato il suo immenso amor. Stazione III Chi porta in pugno il mondo in terra è già caduto, né se gli porge aiuto; oh ciel che crudeltà! Se cade l’uomo ingrato, tosto Gesù il conforta; sol per Gesù è morta nel mondo ogni pietà. Stazione IV Sento l’amaro pianto della dolente Madre, che gira tra le squadre in cerca del suo ben. Sento l’amato Figlio, che dice: Madre, addio, più fier del dolor mio il tuo mi passa il cor. Stazione V Se di tue crude pene son io, Signore, il reo, non deve il Cireneo la croce tua portar. Se io sol potei per tutti di croce caricarti, non potrò in aiutarti per tutti io sol bastar? Stazione VI Sì vago è il vostro affanno, bel volto del mio bene, che quasi in voi diviene amabile il dolor. In cielo che farete, s e in rozzo velo impresso da tante pene oppresso m’innamorate ancor? Stazione VII Sotto i pesanti colpi della ribalda scorta, un nuovo inciampo porta a terra il mio Signor. Più teneri de’ cuori siate voi duri sassi; non più ingombrate i passi al vostro Creator. Stazione VIII Figlie, non più su queste piaghe, che porto impresse, ma sopra di voi stesse vi prego a lagrimar. Serbate il vostro pianto, o sconsolate donne, quando l’empia Sionne vedrete rovinar. Stazione IX L’ ispido monte mira il Redentor languente, e sa che inutilmente per molti ha da salir. Quest’orrido pensiero sì al vivo il cor gli tocca, che languido trabocca, e sentesi morir. Stazione X Mai l’arca, del Signore, del vel si vide scarca, or nudo il Dio dell’arca, vedesi, e senza vel. Se nudità sì bella or ricoprir non sanno, dite, mio Dio, che fanno i serafini in ciel? Stazione XI Vedo sul duro tronco disteso il mio diletto, e il primo colpo aspetto dell’empia crudeltà. Quelle vezzose mani, che al torno sembran fatte, ahi! che il martel le batte senza ombra di pietà. Stazione XII Veder l’orrenda morte del suo Signor non vuole, onde si cuopre il sole, e mostra il suo dolor. Trema commosso il mondo, il sacro vel si spezza, piangon per tenerezza i duri marmi ancor. Stazione XIII Tolto di croce il Figlio, l’ aride braccia stende l’afflitta Madre, e prende nel grembo il morto ben. Versa dagli occhi il core in lagrime disciolto, bacia quel freddo volto, e se lo stringe al sen. Stazione XIV Tomba, che chiudi in seno il mio Signor già morto, finch’ Ei non è risorto non partirò da te. Alla spietata morte allor dirò con gloria: Dov’è la tua vittoria? Dov’ è; dimmi, dov’è? (Fonte del testo: CIA - pag. 95)