(◊ in Ecuador) Fratello Alexandre Arizaga (1902-1924) (Ω in Ecuador)
Fratello Alexandre Arizaga. Riobamba (Ecuador), 1924.
Il caro Fratello Arizaga apparteneva ad una nobile famiglia dell’Ecuador. Suo padre, senatore ed ambasciatore negli Stati Uniti, poi in Brasile, era tra gli uomini più influenti della Repubblica.
La vita di questo giovane religioso non offre niente di straordinario dal punto di vista umano; al contrario, tutto ci sembra eminentemente edificante, se consideriamo l’amore divino che animò il suo cuore fin dalla tenera età. Fu un angelo in un corpo mortale, un fiore mistico secondo il modo e metodo del fiorellino di Lisieux, santa Teresa del Bambino Gesù, sua gloriosa patrona.
Nacque a Cuenca, città dell’Ecuador, il giorno 11 luglio 1902. I genitori gli ispirarono presto un santo entusiasmo per la religione, e soprattutto per la devozione alla Beata Vergine Maria. Mentre frequentava il collegio di istruzione secondaria, subì l’influenza del mondo, la voce di Dio si faceva sentire sempre meno: era la lotta, non la disfatta. Durò sei anni.
Ma la grande devozione alla Madonna gli valse la grazia della vocazione. Un sabato del mese di maggio, assistendo alla messa nella chiesa di Sant’Alfonso a Cuenca, disse: «O madre, aiutatemi e mi farò Redentorista».
Appena si consacrò a Dio, volle raggiungere lo scopo della Regola: l’imitazione delle virtù e degli esempi di Gesù Redentore. Diceva: «O mio Dio, devo pensare, giudicare, parlare, agire come voi; ma come raggiungere questo ideale? Sono diventato religioso per diventare santo; ad ogni istante dirò: come penserebbe, cosa farebbe Gesù?»
Un giorno, si sentì irresistibilmente spinto ad offrire la sua vita al Sacro Cuore per la salvezza della patria. Ubbidì all’istante, ed il giorno della professione religiosa ebbe la convinzione che il suo sacrificio si sarebbe consumato rapidamente.
Giurò un vero odio alla stima di sé. La mortificazione corporale talvolta era spinta fino all’imprudenza; quella dello spirito e del cuore andava di pari passo, anche se non superava l’altra.
L’amore della Congregazione si manifestava in un vero culto per la vita comune, la vita di famiglia, la preoccupazione di fare piacere ai confratelli, l’amore meticoloso della Regola.
Aveva notevole capacità, era di giudizio retto, unito ad un spirito di devozione ispirato dall’amore a Dio: in lui tutto traspariva un religioso di grande valore; e Dio accettò alla lettera l’offerta di vittima nel giorno della professione religiosa.
Un giorno mentre pregava la settima stazione della Via Crucis e chiedeva la grazia della perseveranza, un fiotto di sangue gli venne alla bocca: era la risposta del cielo. Come santa Teresa del Bambino Gesù, sua benamata Patrona, voleva morire di amore e in un atto di amore perfetto.
Questa fine sublime, l’acquistò con grandi sofferenze e crisi successive. Secondo il parere del suo direttore fu un martire per la eroica pazienza e per la gioia soprannaturale che accompagnò la morte. Si poté credere che questo ragazzo appena uscito dall’iniziazione della vita religiosa, trovava nella consolazione sensibile e fervore dei primi anni sollievo e conforto nelle sue sofferenze.
Non fu tormentato da aridità nella preghiera, da sentimento doloroso di abbandono e abbandono da parte di Dio, da attacchi reiterati del demonio, da ansia e terrore improvviso al momento della morte… così era il suo stato interiore.
Tuttavia, diceva alla mamma: «Muoio contento, perché muoio Redentorista». “Come ti senti”, gli chiedeva il Padre che l’assisteva. —«Non posso spiegarvelo, è come un trasporto di amore» … e l’anima passava ad una vita la migliore. Morì all’età di ventidue anni. —«Raptus est, non malitia mutaret intellectum ejus». Sap. 4-11.
Professione 25 gennaio 1923.