P. Carlantonio Arcuri (1802-1863) – Italia.
P. Carlantonio Arcuri (1802-1863)
Nacque in Radicena [Terranova] in provincia di Reggio di Calabria [il 22 luglio 1802].
Questo Padre, scrive il P. Savastano suo compagno, ben si potrebbe appellare “il bambino” per la grande sua semplicità da credere qualunque cosa gli si volesse dare a bere.
Durante lo studentato, fatto prima in Stilo ,fu coi suoi compagni chiamato a completare gli studi a Corigliano. Nel viaggio che facevano, tutti guidati dal P. Gamardella da Stilo in Corigliano ebbero la triste sorte di cadere nelle mani dei malviventi che scorazzavano in quelle contrade, i quali li trasportarono con sé dentro le montagne, e ve li tennero per tre giorni non avendo altro da mangiare che pane ferrigno, ed una volta si cibarono di un agnello abortivo: dormivano sulla nuda terra, guardati da uno di loro.
Furono però fortunati d’indurre questi rotti al vizio a recitare il santo Rosario, finito il quale, uno di loro disse lamentando ai compagni: «Poveri noi, e quando mai abbiamo detto il Rosario, gravi cose dovranno succedere»!
Nel venire sequestrati ne rimandarono uno libero per interessarsi ad unire la somma di danaro necessario al riscatto di essi.
Diffusasi in Corigliano e paesi limitrofi di Albanesi la notizia del riscatto dei Padri, così chiamavano gli studenti, quantunque non ordinati, furono tutti in armi per andare a snidare i malviventi e liberare gli studenti.
Trovandosi a Rettore della Casa il P. Gallo, si accompagnò con la spedizione, e giunto in una masseria si adagiò vicino ad un tavolo, ove altro non fece che versare lacrime pel triste fatto avvenuto e di quello potevasi temere per la vita.
In Corigliano intanto si raccoglieva il danaro che i cittadini volontariamente recavano in mano del P. Giov. Camillo Ripoli da servire alla loro liberazione. Ed è degno rammentarsi quello di una donna povera che non avendo altro che un grano pari a centesimi 4 circa, lo pose nelle mani del suddetto Padre, il quale nel riceverlo pronunziò queste profetiche parole: «Questo grano darà la spinta a cadere la bilancia a danno dei cattivi uomini che sono», poiché la donna si scusava di non potere di più, come col fatto si verificarono.
Dopo tre giorni di palpiti e timori dell’una e l’altra parte, vennero rilasciati dietro lo sborso di soli Duc. 60 cioè L. 255,00, ed a piedi, guidati dalla Provvidenza arrivarono alla nostra Casa, accolti con grande allegrezza.
Il P. Arcuri dunque per quanto semplice come bambino univa ad una pietà tenera e semplice ancora una grande dottrina. Egli era profondo in lingua ebraica da insegnarla, in greco, in astronomia, in matematica, in archeologia, fisica, in algebra, oltre di esserlo in dommatica e morale.
Aveva una memoria tenace e con poca riflessione faceva a memoria i più intricati calcoli. Sì grande istruzione non alterò affatto la sua semplicità, e piccolo qual era, rimase più piccolo nella cognizione di sé, al punto di apparire nulla nell’esterno.
Infaticabile nel ministero non si rifiutava mai per qualunque stanchezza sentisse. Per tale semplicità ed umile sentire di se, accompagnato da sì grande dottrina, era ricercato dalla prima nobiltà Catanzarese che accorreva a consultarlo quale moderatore delle loro coscienze, mentre che egli faceva sue delizie farsela in mezzo alla gente idiota e misera.
Amante sviscerato e devoto dei Santi Gioacchino ed Anna, genitori della Madre Immacolata, ne divenne il vero apostolo, perché non vi era occasione in cui non palesasse l’ardente amore verso di essi, ed il desiderio vivo, efficace che fossero amati e venerati da tutti.
Non sentiva ribrezzo di fermarsi genuflesso nella strada col cappello in mano dinanzi qualche immagine che incontrava, tanto da richiamare l’attenzione di tutti nel vedere quell’uomo così grande pregare acceso di amore pubblicamente avanti l’immagine di un Santo, della Madonna o di Gesù Cristo, e restare cogli occhi fissi lungamente.
Egli fu pure un grande emporio di mali, che soffrì con grande rassegnazione, specie per cinque rotture che aveva, quattro nell’inguine ed una ombelicale, e non fu mai che facesse sentire un più piccolo lamento o fastidio.
Carico di meriti passò a miglior vita in Tropea, nella notte del 6 dicembre 1863, di anni 61, ove con gli altri Padri era stato condotto, dopo 6 giorni di febbre catarrale e munito di tutti i Sacramenti. Aveva passati anni 41 in Congregazione nell’esercizio di tutte le virtù e 35 di dimora in Catanzaro.
La sua morte fu deplorata da tutti, in particolare dai suoi Confratelli coi quali aveva per tanto tempo convissuto e ne avevano ammirati la dottrina, le virtù, e la santità.
Spirò nel mentre il Padre assistente alla sua morte recitava la preghiera: «Gesù, Giuseppe, Gioacchino, S. Anna e Maria nelle vostre braccia spira l’anima mia».
Esempi così preclari non potevano non influire nell’animo di quanti altri Padri andarono a raggiungerli in quella Comunità, i quali, avendo dinanzi a sì lucidi specchi, ne rifletterono i raggi imitandoli, cosicché quel prestigio che la Casa si aveva acquistato mediante la santa vita dei primi, non venne smentito nel progresso dai secondi, lo si mantenne inalterabile, e mentre la edificarono con l’esempio, la illustrarono ben anche con la predicazione.
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L’illustre Professore della R. Università di Bologna Francesco Acri, nella Cronaca di Catanzaro, come dirò a suo tempo, scrive dei Padri che quivi risiedevano:
«… Erano Santi! Come ricordo te, o P. Tortora, dal viso macilento e innocente! E te P. Ammirati, silenzioso e austero! E te P. Montalcini, nobile per nascita e per modi! E te P. Perrella, il quale conseguivi tuo fine per contrario modo!
– Mi ricordo di te, o P. Arcuri, dal sorriso pio e umile, il quale inchinavi il tuo capo sul capo del penitente, e a quando a quando gli lisciavi i capelli, e all’atto di pentimento ti accompagnavi con la parola con lui, anzi dicevi più forte e con più dolore, si che il peccatore parevi tu!».
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Profilo tratto da Biografie manoscritte
del P. S. Schiavone –
vol.2 Pagani, Archivio Provinciale Redentorista.
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