Consumarsi per Cristo che ci apre la porta della vita
Riflessioni su “L’apparecchio alla morte” di sant’Alfonso
In una cultura dominata dalla paura della morte il titolo di uno dei più noti libri di sant’Alfonso può destare meraviglia e perplessità. Bernard Häring invece nella sua presentazione all’ultima edizione italiana sottolinea l’attualità del libro, ammirando “il tentativo deciso del nostro santo di familiarizzare gli uomini con la morte o perlomeno di riconciliarli con essa e di indurli, attraverso il suo pensiero fedelmente coltivato, a decidersi in maniera energica per una vita in Cristo” e così continua: “l’umanità odierna soffre molto per aver rimosso la morte. Chi non accetta la verità della morte, si preclude anche l’accesso alla verità piena della vita”.
Sant’Alfonso dedica L’Apparecchio alla morte alla Madonna, pienamente realizzata perché totalmente guidata ed orientata alla volontà di Dio. Le prime parole del libro sono: vita, benedizione, delizia, amore, speranza, misericordia, confidenza, aiuto, conforto, pace, allegria: valori chela Bibbia giudica necessari per contraddistinguere una vita che si sviluppa nello Spirito e che è destinata alla comunione con Dio.
Hennequin E. nel 1776 giudicò l’Apparecchio alla morte “un libro veramente divino e necessarissimo in questi tempi calamitosi, ove pare che non ci si crede più a niente”.
È pure significativo quanto ha scritto G. Papini: “lo stile di sant’Alfonso pur risentendo dei difetti del suo tempo ha la grazia persuasiva e commovente di san Francesco di Sales, mentre talvolta nelle descrizioni della morte assurge alla potenza espressiva di Jacopone”. Papini e De Luca G. non hanno indugiato nell’inserire nell’Antologia di Prose di cattolici italiani di ogni secolo (1941) alcuni brani di questo libro. Rusca L. ha fatto altrettanto nel suo Breviario dei Laici. Sant’Alfonso stesso dice che questa sua opera è stata molto fatigata e molto richiesta.
Secondo O. Gregorio in essa non si trova una costruzione strettamente logica perché il procedimento è psicologico con un’esposizione lauta delle verità eterne. Il titolo è un’espressione breve ma spiritosa, un sentimento più vivo atto a destare l’attenzione, un’eco di una fraseologia evangelica non meno vivace e stimolante.
Tali referenze bibliche disseminate nelle 36 considerazioni del libro sono colte dal lettore quasi in un flash istantaneo sin dall’inizio dell’opera. Nell’impatto immediato affiora una repulsione naturale che svanisce percorrendo il sommario e riflettendo sull’intento dell’opera. In essa c’è globalmente espresso l’essenziale dell’anima alfonsiana. Non bisogna però pensare che vi si parli riduttivamente della morte, del giudizio e dell’inferno.
La fede cristiana tra vita e morte
L’autore presenta una visione ampia e dialogica della fede cristiana: parla della morte (IV) e della vita (III); del mondo (XIII) e della salute (XII); del peccato (XV, XVIII) e della grazia (XIX); della pazzia del peccatore (XX) e della felicità del giusto (XXI); del mal abito (XXII) e della perseveranza (XXXI); della tentazione (XXIII) e della preghiera e mezzi per salvarsi (XXX, X); dell’inferno (XXVI, XXVII) e del paradiso (XXIX); del giudizio e del patrocinio di Maria SS. ma, avvocata potente (XXXII). Sommamente positiva e costruttiva la parte finale ove lo scrittore tratta del tempo (XI), dell’Amore di Dio (XXXIII), della Santa Comunione (XXXIV), della Dimpra amorosa di Gesù nel SS.mo Sacramento (XXXV), dell’Uniformità alla volontà di Dio (XXXVI). A me sembra che si possa, con buona volontà costruire un filo conduttore a partire dalla considerazione XII che parla dell’importanza della salvezza (§1): “il negozio dell’eterna salute è certamente l’affare che ci importa più degli altri. Il Signore ci dà tutto il tempo necessario. La morte è la celebrazione definitiva ed ultima della propria salvezza. Chi muore amando Dio, non s’inquieta per i dolori che porta con sé la morte; con affetto e pace gli offre quelle ultime reliquie della sua vita… La morte è la porta della vita… Gesù morendo per noi fece che la nostra morte diventasse vita (VIII, § 1,3). Secondo l’esortazione del Santo “bisogna procurare di ritrovarci in ogni ora, quali desideriamo trovarci in morte…” (X, §3). Il giudizio invece rappresenta una valutazione definitiva della qualità della vita, che per sant’Alfonso è un viaggio verso la vera casa (XIV, § 1). A coloro che vogliono sapere quale sarà la loro casa il Santo risponde che “sarà quella che ti meriti e ti scegli con le tue opere (XIV, § 1).
Sant’Alfonso preferisce essere giudicato quando ha ancora tempo, “ora” prima della sentenza definitiva perché ora Dio gli è ancora padre e lo considera ancora figlio. Il giudizio di condanna è per il peccato e per gli uomini cattivi. Il peccato svuota l’uomo della sua pienezza che è Dio stesso e lo impoverisce fino ad una situazione infernale riservata ai ribelli di Dio e a chi ha fatto poco conto della sua grazia (XXVI, § 1). In alcuni appunti inediti ci trasmette le sue convinzioni sull’inferno e sul paradiso: “l’amore fa il paradiso, l’odio fa l’inferno. Perché se i dannati nell’inferno potessero amarlo… l’inferno non sarebbe inferno. Questo farà l’inferno, il non poter amar Dio… il non essere amato da Dio” (cf Op. Asc., IX, Roma 1962, pp. XVII‑XIX). Traspare da queste brevi linee lo sforzo dell’autore che vuole ad ogni costo che il tempo presente sia tempo favorevole e che la terra ritorni ad essere paradiso.
Invito alla conversione
Si respira in tutta l’operetta una praticità negli argomenti, di cui il Santo ne era quasi impastato. Ogni proposizione non soltanto è pesata per esprimere qualcosa ma per produrre una risoluzione del cuore. La nota dominante del libro è la conversione che è presente in tutte le righe. È facile individuarne la sua presenza ed il suo dinamismo essenziale. La conversione è un orientamento verso Dio e suppone la sua chiamata: “Si, mio Dio, io lascio tutto e a voi mi converto” (II, §2). L’orientamento a Dio inclina ad un giudizio di caducità dei beni di questo mondo: “chi pensa alla morte, non può amare la terra” (II, §3).
Il distacco è più facile quando il punto di riferimento è ben fissato. La conversione deve iniziare e maturare nel tempo giusto. La conversione è un’assicurazione per la vita eterna, è precauzione e cautela dall’incertezza dell’ora della morte. Essa ci salvaguarda dall’improvvisazione e dall’indeterminatezza. La conversione è un’opera difficile. Negli affetti e preghiere è costante l’invocazione alla conversione che è domandata a Dio come un consumarsi per Gesù Cristo (IX, §3) e come uno spendere tutto il tempo per servire ed amare Dio (XI, § 1). È forte convinzione del Santo che “le conversioni che provengono dal timore poco contano. Chi si converte per via d’amore di Gesù Cristo Crocifisso, la conversione è più forte e durevole” (Op. Asc., id. p. XII, n. 3). Con la sua metodologia poi il Santo non impone ma propone un messaggio. Pone il suo interlocutore dinanzi ad alternative cariche di significato e di conseguenze. Parla come amico ma anche con forza e coraggio. Dal suo intervento esclude un terrore intenzionale e aggressivo. Al lettore è lasciata la libertà di scelta tra la morte del giusto (XIII) e quella dei peccatori (VI), tra la pace di un giusto che muore e quella di un moribondo che poco ha pensato alla morte (VII), tra l’importanza della salvezza (XII) e la vanità del mondo (XIII), tra la misericordia di Dio (XVI) e l’abuso della divina misericordia (XVII), tra il gran bene della grazia di Dio e il gran male della disgrazia di Dio (XIX), tra la vita infelice del peccatore e la vita felice di chi ama Dio (XXI), tra il mal abito (XXII) e la perseveranza (XXXI), tra l’eternità dell’Inferno (XXVII) ed il Paradiso (XXIX).
L’intento dell’autore è quello di guidare la persona per una decisione per la vita. Per sant’Alfonso, ministro della riconciliazione e direttore delle anime, è facile delineare le caratteristiche della decisione personale. La conversione non è possibile senza la decisione. Questa deve essere indivisa (II, §2), perseverante (II, §3), preferenziale (III, §2). La decisione è opera del cuore (VI, §2), richiede umiltà (XIII, § 1), nasce dal pentimento (III, §1), sprona ad essere generosi (XVII, §2). Essa infine apre il cuore al fervore (IV, §3) e alla speranza (VI, § 1), e fa nascere l’innamoramento e la fedeltà (V, §3).
L’impegno di vivere nel bene
Una buona parte del libro è riservato ad alcune riflessioni spirituali ed apostoliche del Santo. Egli infatti “scrive per le anime che desiderano meglio stabilirsi ed avanzarsi nella vita spirituale” e per chi gli chiedeva una “selvetta di materie predicabili nelle missioni e negli esercizi spirituali”.
I temi preferiti che lui propone sono: la salvezza, il tempo, la preghiera, l’amore di Dio, la perseveranza, l’uniformità alla volontà di Dio. A riguardo ci lascia espressioni lapidarie ricche di sapienza: “La salvezza è l’affare che importa più di tutti gli altri… (XII, § 1).
Il tempo è la cosa più preziosa e il dono più grande che può dare Dio ad un uomo… (XI, § 1). La meditazione è quella fornace ove si accende il divino amore (XXXI, §3). Chi fa la divina volontà diventerà uomo secondo il cuore di Dio… Un atto di perfetta rassegnazione alla volontà di Dio basta a fare un santo” (XXXVI, §1).
La conclusione piena di speranza di sant’Alfonso è: “Felici noi se viviamo e terminiamola vita dicendo così: Fiat voluntas tua“. Ed altra nota tutta alfonsiana sono le ultime parole del libro: “Voglio morire dicendo: “Fiat voluntas tua”. Maria madre mia, così moriste Voi, impetratemi ch’io ancora muoia così“. (XXXVI, §3).
(L’Osservatore Romano, 1 aprile 1988)
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Riportato in
Sulle orme di S. Alfonso
di Antonio Napoletano
Valsele Tipografica, Napoli 1989, pp. 85-88
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