di P. Salvatore Brugnano
da “Piccola Collana Redentorista” (1981)
19. Amore verso la congregazione
|
Sfogliando l'album di famiglia, ognuno di noi oggi è in grado di ricordare parenti e amici del passato, o di conoscere i parenti e gli amici dei propri cari.
L'album di famiglia dei Redentoristi conserva il ricordo di tanti cari Confratelli, i quali non sono presenti alla nostra memoria. Ma è quanto mai opportuno richiamare alla memoria questo ricordo, soprattutto se si tratta di qualcuno che ha significato qualcosa per noi.
Così Tropea, e in genere tutta la Calabria, si, appressa a riscoprire e a richiamare al suo ricordo la figura e l'opera di un infaticabile ed eccezionale figlio della Chiesa e della Congregazione di S. Alfonso de' Liguori.
Il Padre Vito Michele Di Netta ‑che per ben 37 anni evangelizzò con dedizione quelle zone calabresi ancora profondamente "bisognose" ‑ non vive più nella memoria degli uomini: forse qualcuno ne ha sentito il nome dagli anziani, qualcuno ne chiede l'intercessione in momenti difficili senza conoscerlo... Ma la realtà ‑ anche se dura ‑ ci rivela che il suo nome, i suoi insegnamenti, la sua opera restano chiusi più negli archivi religiosi che nella tradizione e nella pietà del popolo.
Questo opuscolo è un invito a riprenderne la memoria, a ricordare gli insegnamenti, a ripercorrerne la strada di impegno, perché noi tutti ci auguriamo di poterlo vedere un giorno agli onori dell'altare.
Non si può amare o stimare ciò che non si conosce... Pertanto questo opuscolo vuole offrire una conoscenza ‑ pur se modesta e limitata ‑del P. Vito Michele Di Netta: chi fu, cosa fece in Calabria e per la Calabria, in particolar modo per Tropea, dove ancora se ne conserva il ricordo.
I disegni di Dio ‑ si sa ‑ non sono quelli degli uomini e noi crediamo che Egli dal nulla crea le cose, che dal male riesce a trarre il bene, e dalle piccole cose ne trae di più grandi.
Non avevano i profeti annunziato che da Bethlem ‑ piccolissimo villaggio ‑ sarebbe venuto il Messia? non aveva predetto Gesù che se Lui non moriva, non poteva nascere il popolo della Nuova Alleanza?... Disegni di Dio in grande .... Ma ognuno può sperimentare nel suo "piccolo" quanto sia vero ciò.
La Congregazione di Alfonso M. de Liguori nell'agosto del 1787 piangeva la morte del suo Fondatore, ma non poteva sapere che il 26 febbraio dello stesso anno per Lei era già nato un altro Figlio, in uno sconosciuto paese, Vallata, oggi provincia di Avellino. Da genitori che per il mondo niente contavano, ma pii e onesti presso Dio.
Vito Michele fu battezzato lo stesso giorno della nascita.
Vito Michele fu il primogenito di nove figli, che altra ricchezza non ebbero se non quella della fede e della pietà cristiana che regnava in famiglia, soprattutto per merito della mamma, la signora Rosa Villani, ricordata a lungo per la sua profonda pietà e la dedizione all'insegnamento di fede, che essa operava in favore delle ragazze che si riunivano in casa sua.
La bontà e la pietà cristiana della madre si trasmisero naturalmente al figlio, che sin dalla tenera età cominciò a crescere nell'amore a Gesù e a Maria. Ciò rappresenta per noi del secolo XX la genuina tradizione di fede dei genitori ai figli.
Vito Michele cresceva così nella fede dei suoi genitori e nell'atteggiamento esterno cominciò a distinguersi: pio e riservato, incline alla solitudine... Fu in questo periodo che egli imparò dalla mamma a tenere le braccia incrociate sul petto, come segno di preghiera e di raccoglimento. E in tale atteggiamento lo troviamo raffigurato in diverse immagini che di lui sono state fatte in seguito.
Tale ricchezza naturale di devozione fu coronata dal sacramento della Confermazione che già all'età di cinque anni gli fu conferita, e poi dal Sacramento della Penitenza e della Eucaristia, che lui spesso riceveva con tanta pietà da essere chiamato il santarello.
La prima formazione scolastica Vito Michele la ebbe presso il Sac. don Onorio Colella, il quale aveva una piccola scuola nel paese.
In seguito, favorendo l'inclinazione verso la vita sacerdotale, don Felice Villani, zio materno, lo avviò agli studi sacri e poi lo fece entrare nel Seminario di S. Angelo dei Lombardi, dove si distinse per l'alacrità nello studiare, la diligenza negli impegni, l'ubbidienza ai Superiori...
Ma già la vocazione ad un tipo di vita religiosa più impegnato e totale cominciava a farsi strada in lui. Nel 1804 confidava allo zio sacerdote di voler entrare in un Ordine Religioso.
Oggi noi tutti notiamo (e con amarezza) quanto pochi siano i Sacerdoti... e per questi pochi tanto lavoro... Negli anni del nostro Vito Michele la situazione era sostanzialmente diversa: molti sacerdoti (quasi ogni famiglia aveva il suo prete) e "ben poco" da fare. Un sacerdote che non fosse parroco aveva ben poco da fare. Per Vito Michele la vocazione religiosa era una chiamata alla totalità dell'impegno sacerdotale.
Vito Michele aveva sentito la chiamata di Dio a tale impegno di vita... ma la scelta non si presentava semplice: il ragazzo era piuttosto timido, introverso per esprimere l'ansia di tale vocazione.
Fu lo zio sacerdote a consigliare al nipote di rivolgersi ai Missionari Liguorini, divenuti molto popolari per le continue Missioni predicate in quelle contrade. La Congregazione di questi Missionari, fondata da S. Alfonso nel 1732, era tutta dedita alla evangelizzazione della povera gente... e proprio nelle vicinanze di Vallata aveva due Case: Caposele e Deliceto, che in quel tempo erano delle vere oasi spirituali per i sacerdoti dei dintorni, che vi trascorrevano un periodo di esercizi spirituali, Dio che fece sentire la sua chiamata al ragazzo, gli diede ora anche l'occasione. A Vallata capitò un giorno il P. Antonio Tannoia, uomo molto pio e dotto, biografo di S. Alfonso e dei primi Padri della Congregazione. Egli dopo la celebrazione della Messa (cui assistì con angelica pietà Vito Michele), lo fissò in volto e gli predisse: Vito Michele, il Signore ti chiama alla nostra Congregazione, per divenire uno zelante missionario nella sua vigna.
Vito Michele ne fu colpito. Accompagnato da una lettera dello zio sacerdote (nella quale si faceva menzione delle sue notevoli virtù e attitudini) egli si presentava a Deliceto, sede del Noviziato della Congregazione nel Regno di Napoli.
Qui superò felicemente l'esame richiesto per l'entrata al Noviziato... Egli fu rimandato al Seminario con la promessa che sarebbe stato ammesso al più presto.
L'attesa fu lunga... divenne quasi insostenibile.
Vigeva allora il regalismo, tempo in cui il re e i suoi ministri la facevano da padroni nelle cose religiose. Per poter entrare al noviziato Vito Michele doveva ricevere il "benestare" del Re: la burocrazia e i sentimenti anticlericali avevano profonde radici e la risposta tardava a venire.
Vito Michele, spinto dall'immenso desiderio, cercò di aggirare l'ostacolo. A S. Angelo a Cupolo, nei pressi di Benevento, c'era un'altra Casa dei Liguorini, e Benevento apparteneva allo Stato Pontificio: là non esistevano difficoltà, per cui in seguito alla sua richiesta fu dal P. Francesco Di Paola ammesso al Noviziato.
E qui si pose a lavorare sodo per la sua formazione, aiutato dall'ottimo Maestro di spirito. "Vito Michele ‑ scrisse egli stesso nei suoi appunti ‑ a che fare sei venuto nella Congregazione? Forse a menare una vita comoda e agiata? per sfuggire i patimenti e disprezzi? Ahi! certamente no! Tu qui devi imitare Gesù Cristo!". E la vita religiosa la prese sul serio, tanto che potè emettere i voti il 1‑4‑1805.
Ma vennero le prove. a saggiare la sua fede. Nel giugno dello stesso anno piombarono nello Stato Pontificio le truppe di Napoleone. Costui tolse al Papa lo Stato di Benevento e soppresse i conventi. Vito Michele dalla Casa di S. Angelo a Cupolo, dove si trovava, fu costretto a riprendere la via del paese. Qui divenne oggetto di minacce e suggestioni perché cambiasse vita. Ma egli non voile né cambiare vita, né smettere, di indossare la talare, pronto finanche a morire, pur di restare fedele alla sua donazione a Dio, confortato di tanto in tanto dalle lettere che il Rev.mo Pietro Paolo Blasucci gli faceva pervenire, in attesa che il nuovo Regolamento degli Ecclesiastici di Napoli fosse promulgato.
Santificarsi in mezzo alle occupazioni ordinarie, vivere da autentico religioso in un ambiente laicistico portato dalle truppe di occupazione: questa fu la grande testimonianza di Vito Michele durante due anni di attesa.
Il dibattito con la Corte di Napoli fu lungo: il regalismo era tendenzialmente anticlericale; ma in fine tutto si risolse in bene. Nel 1808 Vito Michele potè entrare da novizio nella Casa di Deliceto e qui il 25 aprile a 21 anni di età ripetè in modo definitivo la sua professione.
Il tuo soggiorno e la tua vita in Congregazione deve essere lo studio di imitare più da vicino le virtù e gli esempi di Gesù Cristo. Esso deve essere il tuo modello, imitandolo in tutte le tue azioni...
Questo fu il suo programma di vita, confortato soprattutto dalla testimonianza di vita da quei compagni dello scomparso Fondatore, che ne rivivevano e ripetevano lo spirito.
Al non lieve peso del Regolamento per gli Studenti, che già pensava a dirigere tutte le azioni della giornata, Vito Michele aggiunse un programma personale che durava tutta la settimana: ogni giorno si distribuiva gli impegni, le preghiere, le giaculatorie, le pie pratiche da compiere. Era la Settimana Santificata, giorno per giorno, momento per momento, intenzione per intenzione, nelle parole e nelle opere...
Iddio lo aveva chiamato veramente dalla prima ora a santificarsi e Vito Michele rispondeva con alacre impegno.
I suoi libri preferiti furono la Bibbia e l'Imitazione di Cristo, nonché la lettura dei Padri della Chiesa. La devozione a Maria, la madre di Gesù, che le Regole del Fondatore raccomandavano ai Congregati, trovò fertile terreno nell'animo delicato e tenero di Vito Michele.
La chiamata per lui si manifestò soprattutto nella vocazione all'Apostolato: una missione in cui il sale di santità e la luce della dottrina erano oltremodo necessari. In ambedue Vito Michele si distinse in modo da bruciare le tappe: il 23 settembre 1809 ricevette il Diaconato.
La sensibilità per la formazione sacerdotale si affinava di giorno in giorno; egli era convinto che il sacerdote doveva essere l'uomo di Dio tutto d'un pezzo...; era una meta difficile, ma ci si arrivava col liberarsi del tutto dalla colpa, con l'abituarsi al sacrificio e col non darne mai una alla passione...
Era ormai veramente maturo: il 30 marzo 1811 con lettera dimissoria del Rev.mo Rettore Maggiore P. Pietropaolo Blasucci fu consacrato sacerdote dal Vescovo di Lacedonia, nella stessa città dove tempo prima era passato un Santo redentorista, Gerardo Maiella.
La devozione e il fervore con cui celebrava la santa messa destavano la commozione di quelli che partecipavano e si sentiva sempre più spesso la voce: Padre Di Netta è un santo...
Egli non tralasciò mai la celebrazione della Messa, anche quando giungeva tardi, stanco delle fatiche missionarie e dei viaggi in quel tempo travagliati, e digiuno secondo gli ordinamenti liturgici di allora. Il sacrificio eucaristico era troppo importante perché potesse lasciarlo, anche se i disagi erano tanti...
Il cammino di santità, iniziato con la professione religiosa, si faceva di giorno in giorno sempre più spedito. Nella preparazione all'apostolato egli giunse a fissare meticolosamente le intenzioni delle sue azioni e ad esse unire i desideri, perché tutto fosse rivolto alla maggior gloria di Dio, secondo gli insegnamenti del santo Fondatore. Ogni piccola cosa era regolata... quasi una pignoleria, ma che rivelava l'impegno deciso del P. Di Netta orientato soprattutto verso un apostolato missionario.
Non aveva ‑ è vero ‑ grandi doti personali e nemmeno spiccate attitudini per siffatto lavoro: era missionario soprattutto nel cuore, e quando c'è di mezzo il cuore... Non era di grande e robusta statura e la voce non era né forte né sonora... ma la sua parola era incisiva e sapeva attirare.
È solo da circa 30 anni che la Calabria ha sollevato il velo che le copriva il volto... Oggi questa terra è meta desiderata di turismo e specie d'estate si verifica una vera invasione. Il turismo è come un rullo compressore... Porta mentalità cosiddette "progredite" a contatto con quelle tradizionali... e agli indubbi vantaggi si aggiunge un certo disagio, a volte inquietante. Ma quella che era la Calabria ai tempi del P. Di Netta difficilmente possiamo capirlo. Possiamo averne un'idea solo visitando qualche paesetto sperduto tra le montagne (e non sono pochi). La miseria e il sottosviluppo economico si accompagnavano ad una stasi culturale e il tutto si rifletteva sulla formazione religiosa: povertà estrema, brigantaggio, ignoranza, superstizione erano i fenomeni negativi della Calabria di allora, specie quella interna.
Il campo era proprio quello adatto per gli ideali missionari di S. Alfonso de' Liguori, che vi avrebbe voluto una presenza dei suoi figli religiosi. Qualche missione fu fatta; ma le gravi difficoltà del viaggiare, i pericoli per mare e per terra lo indussero a chiedere delle fondazioni stabili in quella terra.
Tali fondazioni per le difficoltà create dal già citato regaliamo si ebbero solo tre anni dopo la morte di S. Alfonso, e cioè nel 1790; furono aperte tre Case per i suoi Missionari: a Catanzaro, Stilo, Tropea, che ebbe la fortuna di apprezzare il grande ministero del nostro Padre Vito Michele Di Netta.
La scelta dei Missionari per la Calabria veniva fatta dai Superiori in base alle difficoltà che la situazione presentava. Furono scelti missionari di provata virtù ed esperienza [Anche l'aspetto di essi doveva essere severo (!) barba lunga e... poca familiarità con la gente, per contenerne la esuberante e affettuosa semplicità!
Nonostante fosse stato ordinato sacerdote solo pochi mesi prima, il Padre Di Netta fu scelto per l'apostolato in Calabria.
Così scriveva allo zio sacerdote: Domani, 10 ottobre 1811 partiremo per le Calabrie, piacendo al Signore... Io me ne vado contento... Ci scopro in questo la volontà di Dio... La città di Catanzaro formerà la mia residenza.
Ma non per molto, perché fu trasferito dopo breve tempo nella Casa di Tropea. E Tropea divenne la sua dimora per circa 37 anni.
Quando vi arrivò per la prima volta, la Comunità religiosa era formata da otto Padri e tre fratelli laici; ma non rimase l'ultimo di essi, perché cominciò a manifestare un'operosità senza pari, che cresceva in proporzione alla sete di aiuto proveniente da quei paesi abbandonati spiritualmente.
Correva di paese in paese, non risparmiava nulla, usava tutti i mezzi e le risorse apostoliche, trascurando se stesso, la sua salute e tutto ‑ come egli stesso scriveva nei suoi propositi ad majorem Dei gloriam, tutto per la maggior gloria di Dio.
Una missione immensa, a cui si dedicò con estremo impegno, e per la quale ebbe aiuti speciali dal cielo. Iddio veniva continuamente in aiuto del suo servo, perciò la sua opera missionaria otteneva sempre risultati meravigliosi...
Si racconta che si pendeva come estatici dalle sue labbra ad ascoltare una parola che liquefaceva ogni cuore e trasformava anche i più facinorosi...
Prima di affrontare più particolarmente gli aspetti del suo Apostolato, possiamo già dire che il P. Vito Michele Di Netta fu ricordato come l'uomo votato alla promozione spirituale di quelle anime (della Calabria) fino ad esaurirsi per esse.
Le missioni furono il tipo di apostolato che il P. Di Netta svolse prevalentemente in Calabria: le diocesi di Tropea, Nicotera, Mileto, Oppido, Gerace, Squillace, Reggio furono la vigna in cui egli e i suoi confratelli lavoravano senza interruzione da ottobre a maggio di ogni anno, secondo la tradizione missionaria di S. Alfonso che considerava questi mesi come la stagione adatta per tale tipo di evangelizzazione.
Oggi le Missioni popolari si sono fatte più rare; perciò cercheremo di farne un quadro. Questo corso di predicazione durava in genere 15-20 giorni e tendeva a raggiungere tutte le categorie della popolazione: bambini, mamme, giovanette, uomini, ammalati, autorità e anche il clero... Tutti venivano istruiti e invitati alla conversione. Il centro di tale predicazione era la cosiddetta predica di massima o predica grande, cui si annunziavano con severità le verità di fede e si muovevano gli affetti dei cuori induriti.
Il P. Di Netta si riservava quasi sempre il compito, e pur non avendo le qualità “tecniche” (modulazione di voce, presenza) tuttavia sapeva con la sincerità, semplicità e passione trasformare i cuori degli uditori. Si ricordano ancora episodi clamorosi suscitati da tali prediche: nella missione di Tropea (1842) già con la prima predica sulla Divina Misericordia, ricordando protezione della Vergine di Romania, protettrice della città che li aveva scampati dai pericoli del mare, trascinò tutta la città.
La sua sola figura, resa più ascetica dalle continue penitenze, mortificazioni e ore di preghiera, era una predica vivente e la testimonianza convincente di quanto predicava.
Poiché le missioni duravano solo 15-20 giorni egli moltiplicava i suoi sforzi per lasciare semi di continuità: pie pratiche da farsi, meditazioni quotidiane, preghiere, mortificazioni e soprattutto la devozione alla Madonna, che egli chiamava con tenera espressione "Mamma Maria". Questi frutti continuavano per lungo tempo. Le diverse "Pie Unioni" di ragazze, giovanette, operai, donne (monache di casa), che egli favoriva, rivelavano il suo sforzo di voler conservare nei popoli e nelle parrocchie il santo fervore delle missioni: perseverare e crescere nel bene intrapreso, fuggendo l'appiattimento spirituale.
Dio, da parte sua, lo assisteva con segni particolari, a volte anche con prodigi, come si rileva da molte testimonianze.
Sorpreso, una volta, in mare da una furiosa tempesta, insieme con i suoi confratelli, resta sereno e invita i suoi confratelli alla preghiera: Figli, non temete, noi saremo salvi; facciamo voto a S. Filomena di celebrare in onore di lei la Messa appena toccheremo lido e non ci incorrerà male alcuno. La tempesta subito cessa e il mare torna calmo.
Durante la Missione di Delianova si alza di notte per avvisare i suoi confratelli di quello che sta per accadere: pochi minuti dopo, il tetto della camera crolla, ma essi sono salvi.
A Brattirò, piccolo paese sopra Tropea, interrompe la predica e avvisa la gente di non aver paura se ci sarà qualche segno: una scossa di terremoto segue le parole del P. Di Netta... ma nessun danno.
Maggio 1844. Ritornando dalla Missione di Oppido, al vetturino assetato il P. Di Netta dice: Andate dietro quelle piante e troverete da bere... II vetturino, che ben conosce la zona, non vuole dargli ascolto, ma poi per farlo contento va e trova una piccola sorgente d'acqua. Il giorno dopo lo stesso vetturino cerca a lungo e inutilmente l’improvvisa sorgente.
Oppido. L'angustiatissimo signore che l'ospita, sig. Giovambattista Grillo, viene portato per mano dal P. Di Netta davanti all'immagine di Maria: Don Giovanni hai qui la Mamma, che dunque ti manca?... La serenità torna subito in lui.
S. Costantino. Molta gente guidata dal P. Di Netta, lavora con indicibile entusiasmo alla ricostruzione della chiesa distrutta dal terremoto. Si temono disgrazie a causa della confusione suscitata dalla entusiastica partecipazione. Ma la presenza del P. Di Netta è un'assicurazione per tutti, anche quando un uomo, Antonio Piperno, cade dall'impalcatura: rimane miracolosamente appeso ad un'asse.
In S. Cristina d'Aspromonte è visto sollevato in estasi davanti al SS. Sacramento, nella chiesa parrocchiale: si riprende solo dopo ripetute chiamate.
La figura, le opere, i segni che accadevano intorno a lui, rivelavano la straordinarietà di questo Padre, che nella semplicità e nella fedeltà portava avanti la sua santificazione e quella degli altri.
Oggi noi siamo convinti che essere o farsi santi non significa fare prodigi o cose grandiose, ma soprattutto essere fedeli a Dio e testimoniarlo con fedeltà nella via a cui Egli ci ha chiamato. A chi gli è fedele Dio si rivela e gli mostra le sue vie.
La via del P. Di Netta fu quella di religioso consacrato in maniera particolare a Dio e al prossimo.
La santità parte dall’umiltà! Anche se la gente lo teneva in grande considerazione, il P. Di Netta ripeteva: Tutti dicono che P. Di Netta è santo:.. ma, di grazia, a chi è venuto avviso che il P. Di Netta si salverà l'anima? Sapete che vuol dire: che mi debbo nettare l'anima dai peccati di cui è macchiata!
Il suo atteggiamento non palesava la sua autorità, tanto che le persone, che non lo conoscevano, lo scambiavano per un fratello laico per il suo aspetto umile e dimesso. Gli esercizi di mortificazione che la Regola dei Redentoristi consigliava (mangiare seduto per terra, baciare i piedi ai confratelli) il P. Di Netta li compiva con tanta umiltà da commuovere tutti.
Nell'umiltà trovava l'allegrezza e la serenità di spirito... Gesù ce ne ha dato l'esempio.
I voti di povertà, castità e obbedienza, che egli emise nel giorno della sua professione religiosa, trovarono pieno adempimento nella vita del P. Di Netta. E al mondo di oggi, il nostro mondo, che dichiara una aperta autonomia nei confronti di Dio, la consacrazione totale del P. Di Netta si rivela come una testimonianza luminosa.
Egli scelse di essere povero non solo perché entrò a far parte di una vita comunitaria e quindi nell'impossibilità di poter considerare alcunché come “suo”; egli fu soprattutto povero perché scelse di vivere nella povertà delle cose e con la ricchezza di Dio.
Nel vestito e nel cibo ricercava sempre la povertà personale, pur avendo cura che i suoi confratelli venissero trattati bene. Durante le Missioni egli sceglieva per sé il posto più scomodo, lasciando agli altri confratelli qualche comodità che il luogo poteva offrire.
Non volle mai dormire su letti lussuosi: più di una volta fece cambiare i soffici materassi con un semplice pagliericcio nelle case dove era ospitato.
Similmente non accettava mai di mangiare con posate di argento, anche quando veniva ospitato da persone nobili.
La sua castità, specialmente, risulterebbe veramente inafferrabile dalla mentalità di oggi se non si comprendesse quale delicatezza e riservatezza il P. Di Netta mostrasse verso gli altri e verso se stesso. La sua modestia era veramente nota a tutti; ecco perché si poteva guardare a lui con semplicità e fiducia.
Il valore della consacrazione verginale o di castità il P. Di Netta lo predicava con passione, tanto da persuadere molte persone, specie ragazze, a consacrarsi a Dio per vivere in pienezza... Qualcuno che lo sentiva parlare in mo sì acceso della castità esclamava: Ma... il P. Di Netta è veramente un angelo. Deve essere nato dalla pietra... Non era pietra; era carne vivificata dallo Spirito di Dio.
La sua ubbidienza era ben apprezzata dai Superiori Maggiori, i quali sapevano di poter contare sulla sua disponibilità, come‑quando‑e‑dovunque.
Quando nel 1836 i Superiori Maggiori ebbero bisogno di un Maestro dei Novizi, di Spirito e di carità, si rivolsero al P. Di Netta. Nonostante la grande stima e venerazione in cui era tenuto a Tropea, e nonostante il clamore del popolo che non voleva perderlo, partì immediatamente per Ciorani, sede del Noviziato.
Era solito ripetere in fatto d'ubbidienza: Ciò che non si fa per ubbidienza non riesce mai, perché non viene benedetto da Dio; ma laddove si agisca con ubbidienza si fa certo guadagno...
Pur essendo Superiore, rimetteva la sua volontà al beneplacito del fratello laico Pasquale Avallone: sia che uscisse di casa, sia che usasse qualcosa che gli bisognava, chiedeva il Benedicite! al fr. laico: una specie di consenso‑permesso a quello che si apprestava a fare.
Un raddoppiato rispetto dimostrò anche quando, cessando dall'incarico di Superiore della Casa di Tropea, rimase lì, sostituito dal P. Vincenzo Fusco: il nuovo Superiore non ebbe mai a lamentarsi di lui. Un giorno il P. Di Netta di fendeva una sua opinione in conversazione e avendogli il P. Fusco fatto notare che non era più il Superiore e che quindi non mettesse troppo animo nella discussione, il P. Di Netta si gettò in ginocchio chiedendo perdono se aveva mancato di rispetto.
Una obbedienza incondizionata egli tributava alla Regola che egli osservava per primo e faceva osservare dai Confratelli con serietà. Perciò era sua abitudine anche mantenere un rapporto "non troppo familiare" ma contegnoso; e studiava di farsi rispettare secondo le Regole.
I rapporti con i laici erano improntati ad una grandissima serietà: rispetto e carità con tutti, schiavitù con nessuno. Era spesso invitato a mettere pace tra le famiglie o le persone: l'angelo della pace, così lo chiamavano... ma soltanto il Regno di Dio animava le sue azioni. Leggiamo qualche suo proposito:
Nelle Missioni leva le inimicizie, ma non toccare né entrare nei loro interessi o contratti.
Dai secolari (laici) sempre si spera, ma sempre si lascia: quindi prepariamoci a ricevere ingratitudini e tradimenti.
Puoi fare miracoli ai secolari. ma non sfuggirai alle loro censure.
Ospitalità cristiana, ma non lungo alloggio.
Con i grandi non essere mai troppo amico.
Tutto è perduto ciò che non si dà ai poveri.
Nelle opere pubbliche non intrometterti affatto, perché solo confessare e predicare è il nostro fare.
Nel confessare e consigliare non dirigere mai in cose d'interesse, ma rimettili agli avvocati.
Non credere agli estranei che accusano i nostri.
Dove si porta affetto, ivi si riceve più affanno; si intende delle cose della terra.
A volte veniva anche burlato per la sua carità. Un giorno (1846) mentre passeggiava lungo la marina di Tropea, due oziosi decisero di prendersi gioco di lui: fecero finta di azzuffarsi e cosparsero il loro viso con liquido rosso, così da sembrare sangue. Il P. Di Netta si precipitò, invocando il perdono e la comprensione cristiana... e quelli scoppiarono a ridere burlandolo. Con pazienza egli esclamò: Che il Signore vi perdoni.
Era breve; e si propose: Propongo di non sentire altro in confessione che i peccati e cose appartenenti allo spirito...
Per la serenità e le sue manieri affabili, miti, divenne il confessore e il direttore spirituale di tanta gente, soprattutto in Tropea. E questo soprattutto fu il suo grande apostolato in Tropea.
Scongiurava i suoi penitenti a frequentare la comunione quotidiana, e soprattutto nei momenti difficili di stare attaccati .alla preghiera e alla Eucaristia, superando in ciò la teoria giansenista, che attraverso il suo falso pietismo e l'esagerazione della propria indegnità teneva lontane le persone dalla comunione quotidiana.
“Non sono i confessori che principalmente santificano le anime, ma è lo Spirito Santo; onde confessatevi con chiunque. Siate brevi nel dire i vostri difetti e se non avete materia grave, confessatevi una volta all'anno, ma ogni mattina fate la comunione”.
Questi e altri consigli, uniti alle numerose giaculatorie (addirittura rosari di giaculatorie) il P. Di Netta offriva con chiarezza e pietà. E i frutti si vedevano.
Tutti coloro che si accostavano al suo confessionale sentivano come diventasse molto semplice comunicare col Padre, il quale in più di qualche occasione anticipava i problemi e le angustie dei penitenti stessi: sembrava leggere nella mente e nel cuore.
‑ A un tale Antonio Rombolà di Battirò, uomo di pessimi costumi e carico di delitti e convertito poi dal Servo di Dio, egli rivelava ogni volta i peccati che era per confessarsi e quelli che taceva per dimenticanza.
I consigli che dava per il presente o futuro spesso trovavano conferma nella realtà:
‑ Quando era Maestro dei Novizi, a Ciorani, poteva predire chi avrebbe continuato a perseverare nella Congregazione o chi invece avrebbe lasciato l'istituto. A un novizio che era in pena per una penitenza piuttosto pesante ricevuta, egli disse: Figlio, stai malinconico? e pensi che altri ‑ pur responsabili ‑ non hanno penitenza? Ebbene sappi che tu persevererai in Congregazione, mentre quello e quell'altro ancora... usciranno fuori... Ciò si avverò.
‑ Quando nel 1837 a Ciorani scoppiò il colera e tutti erano preoccupati, egli predisse che la morte ne avrebbe rapito uno solo: e così avvenne.
Alla signora Silvia Di Tocco in Tropea, già madre di numerosi figli e che si trovava in nuova gravidanza con molti pericoli per la sua salute, il Padre predisse: Darai alla luce una bambina; la chiamerai Maria e sarà l'ultima tua figlia.
‑ Il signor Orazio Avallone di Tropea a 30 anni si ammalò gravemente di tisi ed era sul punto di morire. Aveva consultato diversi medici, anche a Napoli... Il Servo di Dio alla moglie sconsolata (aveva quattro figli) ispirato predisse: No, non morrà vostro marito, starà bene e vivrà vecchio... Il signor Avallone visse fino ad 80 anni.
La signora Antonia Barone, baronessa Fazzari di Tropea, racconta come sua madre era afflitta perché non aveva figli maschi. Il P. Di Netta le predisse: Sì, ne avrai di figli maschi, ma saranno la tua croce... E ciò dolorosamente si avverò.
Tali fatti, che specialmente a Tropea ognuno poteva constatare di persona, generarono una stima per il P. Vito Michele Di Netta: la gente accorreva a lui per sottoporgli i casi di famiglia più difficili: figli dalla condotta sregolata, donne maritate in angustia per i maltrattamenti dei mariti, donne non fedeli al voto di consacrazione fatto al Signore (monache di casa): moltissime predizioni del Servo di Dio si sono avverate. Per cui la riverenza verso di lui ‑ mista a timore ‑ cresceva nella gente.
Quanto abbiamo detto sopra gli era possibile perché Dio era con lui. E il fondamento di una vita così intensamente vissuta era l'amore per Lui. Un amore che nella vita del P. Di Netta ebbe anche le sue manifestazioni esteriori, perché l'amore ‑ quando c'è ‑ non può non rivelarsi.
Serafino d'amore lo chiamavano e si rimaneva commossi al vederlo tutto raccolto dinanzi al SS.mo Sacramento per ore intere. La comunicazione con Dio era continua; dal suo volto, dalle sue parole, da tutte le sue opere traspariva il suo interno amore. Pareva sempre assorto nel Signore e il suo aspetto diceva raccoglimento, unione, soprattutto nella celebrazione della santa Messa.
Ciò che passava tra lui e Dio non sempre rimaneva dentro, ma fuoriusciva in sospiri e parole sommesse, infuocate: erano semplici atti di fede, di amore che salivano alle sue labbra in una intensità da innamorati. Non immaginiamo noi la semplicità di due innamorati che nella intimità del loro sentimento non cessano di ripetersi: "Ti amo, gioia mia, mio tesoro"?
Più volte ‑ le testimonianze a riguardo sono numerose ‑ fu visto assorto in dolci estasi d'amore e anche sollevato da terra, quasi che il suo corpo avesse perduto il suo peso e volesse seguire lo spirito infuocato d'amore. Così avvenne a S. Cristina d'Aspromonte durante la celebrazione della Messa; a Potenzoni, nella stanza dove era stato ospitato. A Terranova, durante la celebrazione della Messa, il fratello laico Pasquale Avallone gli dovette gridare: "Basta! Basta!" e così la messa potè continuare...
Ciò forse può fare meraviglia a noi del XX secolo: ma anche noi possiamo comprendere... soprattutto chi ha imparato ad amare sul serio.
L'amore verso Dio era unito fortemente con quello verso il prossimo, secondo la ben nota regola evangelica. Un amore che si manifestava come completo servizio per gli altri e un "mettersi a disposizione" anche quando la salute malferma cominciava a dargli fastidio.
Di ciò era testimone la città intera di Tropea, i cui sacerdoti e fedeli accorrevano a tutte. le ore dal P. Di Netta per confessioni, consigli, richiesta di assistenza a moribondi. Era presente soprattutto nei momenti difficili: liti roventi, furti, miseria...
‑ L'arciprete di Drapia, Don Vincenzo Ruffa, subì un attentato... Il P. Di Netta non ebbe pace fino a quando non riuscì a portarlo in casa dei suoi nemici e a ristabilire la pace: Figlio, quanto mi hai consolato ‑ gli - disse con voce commossa.
‑ A due pastori che stavano azzuffandosi col coltello, presentando un Crocifisso, gridò: Ferite, ferite, se ne avete l'animo, questo Dio che è morto per noi! La lite non potè non cessare. ,
‑ Pur essendo la casa di Tropea molto povera, egli trovava sempre il modo di dispensare elemosine e soccorsi di ogni genere a folle di poveri. Una volta, tra di essi fu sorpreso un ladro che rubava. I Confratelli volevano consegnarlo alla forza pubblica, ma P. Di Netta lo impedì dicendo: Poveretto! perché farlo arrestare? Soccorretelo e rilasciatelo!
La sua preghiera per gli altri aveva effetti straordinari: alcuni pescatori di Tropea non avevano preso niente... Gridarono al P. Di Netta che facesse qualche preghiera: pregò con fiducia... e la pesca che ne seguì fu veramente abbondante; è ricordata tuttora come la pesca di S. Raffaele, perché era il 24 ottobre, giorno dedicato al santo Arcangelo.
Fu grandissimo e le prove che egli dovette sopportare per entrarvi da giovane ne dimostrano la forza di attaccamento. Un attaccamento che si rivelò innanzitutto come piena disponibilità a svolgere gli incarichi ai quali era chiamato: missionario in Calabria per ben 37 anni, Superiore in una Casa (Tropea) che era ,povera e bisognosa di tutto, Maestro dei Novizi, anche se l'avventura missionaria gli aveva preso il cuore, Visitatore canonico delle Case redentoriste di Calabria in umiltà e servizio.
Attaccamento alla Congregazione era anche il grande amore e la grande vénerazione che aveva per il santo Fondatore Alfonso de' Liguori. In occasione della beatificazione del Fondatore egli invitò il noto filosofo di Tropea Pasquale Galluppi, suo grande amico e... vicino di casa, a tenere un discorso sul beato Alfonso. Il discorso, che ebbe luogo in una seduta dell'Accademia degli Affaticati, è conservato nell'archivio della Casa dei Redentoristi a Tropea.
Il P. Di Netta era Superiore della Casa di Tropea quando il 26 maggio 1839 il Fondatore dei Redentoristi fu proclamato santo. In tale occasione furono organizzati solenni festeggiamenti nelle varie Case dell'Istituto. Per il P. Di Netta fu come la scintilla che scatenò l'incendio che aveva nel cuore. Egli volle offrire feste grandiose in Tropea al suo Padre Santo, al quale si sentiva legato da tanto affetto e che egli imitava così da vicino. E per rendere più duratura la memoria di questa data, egli fece decorare a nuovo in suo onore una cappella della chiesa del Gesù, la chiesa dei Redentoristi, e costruire un altare artistico a mosaico di marmi pregiatissimi, che egli riuscì a trovare in un deposito a Messina: ancora oggi si può ammirare questa perla nella bella chiesa del Gesù in Tropea.
Il lungo lavoro di 37 anni di apostolato e di missioni in Calabria lasciarono il segno nella salute del P. Di Netta. Verso i 60 anni la sua fibra (già non molto robusta naturalmente) si piegò. E come non poteva? Dopo i tanti viaggi disagiati (si pensi ai mezzi di trasporto del tempo), dopo aver trascorso intere giornate col sole o con la pioggia a dorso di mulo (a volte 6 giorni di viaggio), dopo i vari disagi che egli affrontava nell'ospitalità... rimediata alla buona.
Nel 1847 si ammalò gravemente: le continue ricadute nel male che lo faceva soffrire (l'asma) e un malessere generale lo misero duramente alla prova. Ma egli: Sia fatta la Volontà di Dio... e: Dio ha sofferto tanto per me e io è poco quello che soffro per Lui...
Nondimeno non smise l'attività interna alla Chiesa del Gesù: confessava, faceva tante orazioni da commuovere quelli che lo vedevano così pallido e debole, appoggiato a una stampella.
Anno 1849. Gli ultimi mesi di vita li dovette trascorrere ritirato in camera e costretto al letto. I Padri della Comunità e i numerosi penitenti e amici capirono che la vita lo stava abbandonando. Ma fu lui ‑ ancora una volta assistito da Dio ‑ a predire il giorno della sua morte. Al Padre Primicerio confidò: Io morrò nel giorno di S. Francesco Saverio, l'Apostolo delle Indie.
E quando la notte del primo dicembre le condizioni si aggravarono in modo preoccupante, egli ripetè al Padre Mazzei: Figlio, andatevi a coricare, che io stanotte non muoio... deve arrivare il giorno di S. Francesco Saverio. E così il tre dicembre, nonostante che i medici giunti da Nicotera sperassero in una ripresa, il P. Di Netta, secondo le testimonianze di quanti erano presenti nella sua camera, dicendo: Eccomi qui, Gesù mio... Eccomi, si addormentò sereno nel Signore. Erano le ore 9.00.
Per tre giorni la salma rimase in chiesa per soddisfare il pio desiderio di quanti l'avevano conosciuto e stimato. Il 5 dicembre, nel pomeriggio, un grandioso corteo funebre (sembrava una festa) accompagnò la salma del caro Padre nell'ultimo viaggio verso la tomba di famiglia del Signore Francesco Di Tocco, sita nella Chiesa del Carmine.
Una colomba bianca si librò in volo sulla bara durante il tragitto.
Il 22 giugno 1910 Papa san Pio X segnò la Commissione dell'introduzione della Causa di beatificazione.
Anni dopo ‑ il 7 luglio 1935 ‑ il Papa Pio XI, nel proclamare l'eroicità delle sue virtù, affermava: La sua anima si rivela con una grandezza di proporzioni che annunzia un'anima gigante. Venerabile sacerdote, venerabile apostolo e missionario del popolo.
Da allora il P. Di Netta è chiamato col titolo di VENERABILE SERVO DI DIO.
In questi ultimi tempi più vivo si è acceso il desiderio di vederlo elevato agli onori degli altari.
Voglia il Signore confermare con nuovi miracoli la santità del suo Servo fedele.