5. Maria, un "sì" sempre in
ricerca
Gesù ritrovato nel tempio
Dopo la presentazione al Tempio la sacra Famiglia venne a stabilirsi
a Nazareth (Lc 2, 39). Per dodici anni la vita di Nazareth non fu
interrotta da nessun particolare avvenimento: "Il bambino cresceva e
si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di
lui" (Lc 2, 40). Nulla di straordinario che rivelasse ai coetanei,
ai conoscenti e familiari le sue particolari doti e soprattutto la
sua particolare natura, che l'Angelo aveva annunziato essere pari a
quella di Dio. Come un comune bambino egli viveva nella piena
sottomissione ai "naturali" genitori. Ma al dodicesimo annodi età,
proprio quando il giovane ebreo diventava "figlio della Legge", il
fanciullo ebbe una inspiegabile assenza, la prima, e forse anche
l'ultima di tutta la sua vita.
Il vangelo di Luca così ci presenta questo episodio: I suoi genitori
si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza;
ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del
ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i
genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una
giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i
conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a
Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori,
mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano
erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al
vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci
hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo" Ed
egli rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo
occuparmi delle cose del Padre mio?." Ma essi non compresero le sue
parole. (Lc 2, 41-50)
Questa pericope sembra porsi in contrasto con l'annotazione di Luca,
che presenta Gesù sottomesso a Giuseppe e Maria. Ma, a ben guardare,
egli pare mettersi, qui, in una cosciente e quasi voluta antitesi
con la sua condizione normale di figlio, facendo emergere
all'improvviso una decisa separazione da Maria e Giuseppe.
Gesù dichiara di assumere, come norma del suo comportamento, solo la
sua appartenenza al Padre e non i legami familiari terreni. La sua
condotta si rivela molto diversa dal solito. E sicuramente il suo
ritrovamento nel terzo giorno costituisce per i genitori la scoperta
di un nuovo aspetto relativo alla sua persona e alla sua missione.
Egli assume il ruolo di maestro, come far più tardi nella vita
pubblica, pronunciando parole che destano ammirazione. Rivelando una
sapienza che stupisce gli uditori, inizia a praticare l'arte del
dialogo, che sarà una caratteristica della sua missione salvifica.
La Madre chiede a Gesù: "Figlio, perché ci hai fatto così. Ecco tuo
padre e io, angosciati, ti cercavamo" (Lc 2, 48). Si potrebbe qui
cogliere l'eco dei "perché" di tante madri di fronte alle sofferenze
procurate loro dai figli, come pure degli interrogativi che sorgono
nel cuore di ogni uomo nei momenti della prova.
"Debbo occuparmi delle cose del Padre mio" (Lc 2, 49)
L'episodio aveva lasciato un'impronta indelebile nella mente di
Maria, non tanto per la pena sofferta a motivo dello smarrimento,
quanto per la misteriosa risposta ricevuta da Gesù in quella
circostanza. Da essa aveva compreso qualcosa di essenziale sulla
persona e missione del Figlio, come anche sulla propria sorte: un
incidente pieno di realtà e di simbolismo, tutt'altro che un
insignificante episodio della comune vita di famiglia. Le parole
pronunciate da Gesù produssero in lei l'effetto come di una nuova
rivelazione. La rivendicazione di una paternità diversa da quella di
Giuseppe era un esplicito richiamo, ancora più chiaro di quello
dell'arcangelo Gabriele alla sua particolare natura.
Suo Figlio era anche Figlio di Dio: il Tempio, dimora per eccellenza
di Jahvè, era la casa di "suo padre" ed egli ci si trovava come
nella propria sede. Nonostante, quindi, l'appartenenza alla loro
famiglia, l'abituale sottomissione che loro professava, egli aveva
un' altra famiglie, un altro padre, un' altra casa. Invece di
ricercarlo con angoscia avrebbero piuttosto dovuto richiamare alla
loro mente quanto era già stato rivelato al riguardo dall'Anelo e da
Simeone.
Gesù, in modo inatteso e imprevisto, schiude a Maria e Giuseppe il
mistero della sua persona, invitandoli a oltrepassare le apparenze e
aprendo loro prospettive nuove sul suo futuro. Quel che avevano
ritenuto un gesto inspiegabile - una scappatella era, invece, un
atto di suprema ubbidienza al Padre celeste, ubbidienza
inderogabile. Il loro rimprovero era, quindi, ingiustificato ed egli
non sente il bisogno di discolparsene.
L'evangelista fa notare che i genitori non poterono comprendere
tutta la logica di questo ragionamento: "Ma essi non compresero le
sue parole" (Lc 2, 50). Fino a qual punto doveva infatti spingersi
la sua sottomissione al Padre, e di conseguenza la sua separazione
da loro? Sa quanto avevano udito non potevano ancora certamente il
grado e le proporzioni.
Ma intanto qualcosa era certo, la sua presenza nella loro casa e la
sua sottomissione alla loro autorità veniva dichiarata provvisoria.
Soprattutto Maria cominciava a sentire la limitatezza dei suoi
diritti - i naturali diritti materni - sul Figlio e ciò la
riguardava ancora più personalmente, andava preparandosi a perderlo
in una forma ancor più grave, portando così a termine l'offerta che
lei stessa ne aveva fatto, ancora neonato, nel Tempio, al Signore.
L'importanza di questo episodio è tutto nell'orientazione di
collaborazione alla redenzione che esso conferisce alla vita di
Maria, o, più giustamente, nella riconferma che esso vi apporta. Ma
la perdita fu di breve durata, solo di tre giorni. La coincidenza
coi tre giorni della sepoltura può essere fortuita, ma il
ritrovamento non è forse senza simbolismi. Al "terzo giorno" la
gioia del ritrovamento è accresciuta dalle circostanze che
l'accompagnarono. Mai, forse, fino allora Maria aveva visto suo
figlio in una congiuntura simile: oggetto delle sue attenzioni e
meraviglie di tutti. Non ci poteva esser in ciò un simbolo della
gloria futura che egli avrebbe conseguito dopo la morte e insieme un
preannunzio della gioia che avrebbe inondata la madre in tale
circostanza?
Davanti a tanta drammaticità e tragicità di annunzi, si profila
anche agli occhi della madre un figlio di speranza. Per questo
episodio che si inserisce tra la vita privata e la vita pubblica del
Salvatore viene ad essere come una sintesi della prima e un preludio
della seconda; un preannunzio della passione di Gesù e di quella
della madre, ma anche un accenno al successivo comune trionfo, cui
vanno egualmente incontro.
Sua Madre serbava tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2, 51)
Così il Vangelo ci fa contemplare Maria dopo il ritrovamento di
Gesù. L'episodio definisce assai bene la capacità contemplativa di
Maria: la sua ricerca di un motivo per capire quanto le accadeva. Se
non fosse accaduto non sembrerebbe pensabile: anche Maria perse un
giorno Gesù. Lei pure passò attraverso questa esperienza così
normale nella nostra vita cristiana, di sentire la mancanza di io e
di non sapere dove sia andato a finire.
Maria, dunque, provò questa amarezza, così abitale nella nostra
vita, di sentire la mancanza del proprio Dio e di non sapere dove
trovarono. E se il ricordo di Maria, nella ricerca angosciosa del
Figlio, deve sembrarci consolante, assai più stimolante sarà il suo
esempio e meno penoso l'imitarlo: chi cerca Gesù, chi scorge le sue
tracce e indaga le sue strade può incontrarsi nel cammino di andata
verso Gesù, con Maria, che condivide la sua mancanza e la sua
angoscia.
Quanti, per vivere a loro agio, perdono di vista Dio, potrebbero
imparare da Maria che la relazione con Dio non può essere mai data
come scontata, e tanto meno come assicurata. Un Dio che possiamo
smarrire anche quando cammina con noi è un Dio al quale non ci
possiamo abituare, perché sempre ci può sorprendere, e che non
possiamo tralasciare di contemplare. Pensare di conoscerlo, sentirci
familiari suoi, è il modo migliore per perderlo. Maria ci dimostra
che la cosa peggiore nella nostra vita non è perdere di vista Dio,
ma continuare a vivere senza cercare di recuperarlo: che non vede
Dio, può ancora cercarlo. Crediamo che per averlo accolto un giorno,
già lo conosciamo a sufficienza. Da Maria dovremmo imparare che la
relazione con Dio è un'avventura sempre nuova, che mai sappiamo che
cosa può chiedere o se rimarrà per sempre con noi.
Maria ci insegna pure che perdere Gesù non deve essere per noi
un'esperienza traumatica ed ancor meno, irrimediabile. Soprattutto
non dobbiamo considerarla definitiva. Ella aveva perso il figlio, e
trovò il Figlio di Dio. Perciò non basta consolarsi ricordando che
anche Maria ebbe la nostra stessa sofferenza; è necessario imitarla
nella sua ansiosa ricerca.
La solidarietà di Maria con noi può servirci di sostegno, ma
soprattutto dev'esserci esemplare la sua reazione. Possiamo
certamente sentirci compagni di Maria nella ricerca di Dio. Ma
ancora più significativo è il fatto che chi cerca Gesù potrà
sentirsi capito e guidato da Maria nel suo cammino, condividendo con
Lei la mancanza di Gesù e il desiderio di ritrovarlo.
P. Maurizio Iannuario |