Preghiere 55

24 febbraio – Quar.3 – Il digiuno che piace al Signore.
«Il mio sacrificio, o Dio, è uno spirito contrito; un cuore contrito e umiliato
tu non lo disprezzi» (Salmo 51, 19).

• Grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo, Signore nostro. Per il suo esempio e la sua grazia la fede di chi digiuna s’alimenta, la speranza si ravviva, la carità si rafforza; poiché egli davvero è il pane vivo che sostenta per la vita eterna, e cibo che ingenera la forza dello spirito.
Il tuo Verbo, per mezzo del quale furono create tutte le cose, è infatti cibo non solo degli uomini, ma altresì degli angeli.
Nutrito di tale alimento, Mosè tuo servo quando doveva ricevere la legge, digiunò quaranta giorni e quaranta notti, astenendosi dai cibi materiali, per rendersi più idoneo a gustare la tua ineffabile dolcezza. Fu così che neppure senti la fame del corpo, e dimenticò gli alimenti terrestri, perché lo rischiarava la virtù della tua gloria e lo nutriva la parola feconda del divino Spirito.
Deh! non lasciarci mai mancare questo pane, del quale ci esorti ad avere sempre fame, e che è Gesù Cristo, nostro Signore.
(Sacramentario Gregoriano, da Liturgia ‑ CAL 74).

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• O Signore, nel tempo del digiuno tieni desta la mia mente e ravviva in me il salutare ricordo di quanto hai misericordiosamente fatto a mio bene col digiunare e pregare per me…
Qual misericordia più grande di quella che te, Creatore del cielo, ha fatto dal cielo discendere, affinché tu patissi la fame, e nella tua persona la sazietà soffrisse la sete, la forza provasse debolezza, la sanità fosse ferita, la vita morisse?…
Quale più gran misericordia del farsi creatura il Creatore e servo il Signore? dell’essere venduto chi venne a ricomprare, umiliato chi esalta, ucciso chi risuscita?
Tra le elemosine da fare tu mi comandi di dar pane a chi ha fame; e tu per darti in cibo a me famelico desti prima te stesso in mano ai carnefici. Mi comandi d’accogliere i pellegrini, e tu per me venisti nella tua propria casa e i tuoi non ti accolsero.
Ti dia lode l’anima mia, perché ti mostri così propizio a tutte le mie iniquità, perché risani tutti i miei mali, perché strappi alla corruzione la mia vita, perché sazi con i tuoi beni il mio cuore.
Fa’ che, mentre digiuno, io umilii l’anima mia, vedendo come tu, maestro d’umiltà, umiliasti te stesso, fatto obbediente sino alla morte di croce.
(S. Agostino, Sermo 207, 1‑2).
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da “Intimità divina”
Roma 1992

Ah mio Redentore, io riconosco il male che ho fatto in separarmi da te, sommo mio bene. Io dovevo patire ogni pena, ogni male, ogni morte, e non offenderti; e quale maggior male poteva io commettere, che perdere volontariamente la grazia tua? Ah Gesù mio, io non ho pena che più mi affligga di questa, di aver disprezzato te, bontà infinita (S. Alfonso).