Il redentorista P. Joseph W. Oppitz
(1926-2011)
e l’affondamento dell'”Andrea Doria”
Il recente naufragio della nave di crociera Costa Concordia ha riportato alla memoria altri due celebri naufragi, quello del Titanic (1912) e quello dell’Andrea Doria (1956).
Tra i passeggeri di quest’ultima nave c’era un giovane redentorista, P. Joseph W. Oppitz, che si era appena laureato a Roma e rinornava negli Stati Uniti. – L’affondamento della bella nave italiana divenne per lui motivo di infiniti momenti di conversazione ad ogni livello e in diverse parti del suo Paese.
Ecco il racconto riportato nel ricordo della sua morte avvenuta il 6 ottobre 2011.
Chi era P. Joseph William Oppitz
Autore Redentorista, missionario, pastore, professore e sacerdote cattolico P. Oppitz nacque il 12 agosto 1926 a Baltimora, nel Maryland. Professò i suoi primi voti il 2 agosto 1948 e i voti perpetui il 2 settembre 1951. Fu ordinato sacerdote il 21 giugno 1953 ad Esopus, NY.
Dal 1954 al 1956 ha studiato presso l’Angelicum in Roma dove maturò il suo dottorato in filosofia. Ha insegnato, predicato e diretto coscienze per tutto il resto della sua vita.
Il suo entusiasmo quando predicava ed insegnava aveva un effetto avvincente sui suoi ascoltatori. Nessuno si addormentava quando padre Oppitz saliva sul pulpito o andava in classe. Guidava gli studenti sull’importanza di fare sottili distinzioni. Sotto la sua guida essi imparavano a distinguere tra l’ignoranza vincibile e invincibile , colpevole ed incolpevole. Quando egli insegnava etica offriva esempi pratici sul principio del doppio effetto e quando insegnava filosofia egli spiegava la differenza tra essenza, forma, importanza, sostanza e accidenti. Ma soprattutto spronava i suoi allievi ad imparare a pensare e a non aver paura di trasbordare nel “meraviglioso”, che secondo lui era l’inizio della vera saggezza.
Il suo racconto sull’affondamento dell’Andrea Doria
Padre Oppitz resta più ricordato per la sua accattivante esposizione di quello che lui chiamava “L’affondamento dell’Andrea Doria: Storia di un uomo“. Ecco alcuni estratti del suo racconto
«Solo gli uomini nella mia famiglia diretta attraversarono l’Atlantico in nave: mio padre, su una nave da trasporto per truppe durante la prima guerra mondiale, mio fratello su un L.S.T. [Landing Ship Tank = una nave da guerra di tipo anfibio della US Navy] durante la seconda guerra mondiale e da me su una nave diretta verso la propria battaglia con il disastro nel 1956.
Dopo aver difeso la mia tesi a Roma, viaggiai fino a Genova per imbarcarmi sull’Andrea Doria e ritornare a casa. La nave era lunga 697 metri ed aveva tutte i più recenti dispositivi di sicurezza e sofisticati apparati di radio radar più recenti, una serie di compartimenti di sicurezza aggiornati, tali che sarebbe impossibile per la nave affondare. Lasciammo Genova il 17 luglio, ma prima di entrare nell’oceano abbiamo attraccato a Napoli per accogliere a bordo l’ultimo dei 1706 passeggeri.
Il “malocchio”
Non appena la passerella fu bloccata al suo posto, circa una dozzina di venditori napoletani vennero di corsa sui ponti, ciascuno portando un sacco pieno di souvenir da vendere venduto a noi che eravamo a bordo. Il primo venditore mi ha visto e probabilmente si è detto: “Ahaha!, ecco un turista americano per la mia prima vendita del giorno.” È venuto di corsa, ha aperto il suo sacco e ha iniziato la sua tiritera: “Autentici anelli d’oro, bracciali d’argento puro, orecchini di diamanti. Fa’ felice la tua ragazza!” Lo assicurai di non avere alcuna ragazza. La sua risposta fu intelligente: “Anche gli americani hanno una mamma! Compra qualcosa per tua madre.” Gli ho detto che avevo tutti i souvenir necessari nel mio bagaglio giù nella stiva.
Allora egli ritornò all’attacco: “Questo è il guaio di voi americani! Venite qui e non rispettate i nostri usi. E uno dei nostri usi è che se non facciamo la prima vendita del giorno, avremo sfortuna. Quindi devi comprare qualcosa!” Io ho replicato, “Guarda, amico, se non la smetti di infastidirmi, chiamerò quel poliziotto per buttarti via dalla nave e allora avrai veramente sfortuna.”
Beh, avevo ascoltato già qualche elegante maledizione durante i miei viaggi, ma questa le superò tutte. Egli sputò sulle sue dita, indice e medio, mi lanciò il malocchio e urlò, “Ti auguro di avere sfortuna nel ritorno a casa ce l’avrete!” Eravamo una nave maledetta prima ancora di lanciarci nell’Oceano Atlantico.
Il resto del viaggio, fino alla notte del 24 luglio e alla mattina del 25 luglio, è stato delizioso e tranquillo. Il tempo era per lo più soleggiato e caldo, le onde erano state moderate e relativamente calme e noi passeggeri eravamo completamente rilassati.
La nebbia
L’ultimo giorno iniziò con il solito sole. Tuttavia, verso la fine del pomeriggio una nebbia cominciò ad avanzare all’orizzonte. A cena la nebbia divenne un argomento di conversazione, specialmente tra quelli di noi che non avevano mai sperimentato nebbia in mare.
Se ne parlò non con paura o apprensione, ma piuttosto con un senso di gratitudine che eravamo su una nave, l’Andrea Doria, attrezzata con la più recente tecnologia ed un capitano con molti anni di esperienza.
Anzi, mi ricordo che prima della fine della cena, noi stavano parlando di nebbia e un uomo, il sig. Cianfarra corrispondente del New York Times, scherzò che sarebbe stato bello se avessimo avuto una collisione nella nebbia, così egli avrebbe potuto avere uno “scoop” prima degli altri giornalisti di ritorno a New York.
Alle 22,00 del 25 luglio l’Andrea Doria era solo un miglio a sud delle secche di Nantucket e dal faro di Nantucket. L’area che va dal faro di Nantucket al faro di Ambrose è stato chiamato il “Times Square” delle acque costiere a causa del suo traffico pesante in uno spazio limitato.
Un blip sul radar
Quarantacinque minuti dopo, il nostro capitano Calamai ha visto un blip sul suo radar, a circa 17 chilometri di distanza e a quattro gradi alla sua destra. Qualunque fosse la nave, essa era sul suo lato di dritta e su una rotta parallela, ma diretta verso l’Europa. Calamai era convinto che le due navi sarebbero passate senza alcuna possibilità di incrociarsi. Sul suo radar c’era su una distanza di mezzo miglio tra le due navi.
Alle 23,05, appena sei minuti prima della collisione, la Stockholm era quattro miglia lontano ma a 14 gradi a destra della prua dell’ Andrea Doria. Pertanto, Calamai fece un leggero cambio in corsa vero la sua sinistra così da mettere tra le due navi più acqua mentre passavano ambedue con le fiancate a destra.
Il disastro
Tre minuti prima dello scontro, la Stockholm era a soli 2 chilometri di distanza, ma ancora non poteva né essere visto e si poteva sentire alcun suono della sua sirena da nebbia.
Il nostro capitano uscì verso l’ala destra del ponte per vedere se potesse vedere questamisteriosa nave. Finalmente vide il bagliore delle luci giusto ad 1,1 miglio di distanza che puntava direttamente sull’arco dell’ Andrea Doria. Questo fu appena 100 secondi prima della collisione.
In quel momento apparve evidente che la Stockholm stava facendo una forte virata a destra direttamente contro di noi. Calamai ordinò il tutto a sinistra nel disperato tentativo di evitare la tragedia. Quindici secondi ancora e le due navi non avrebbero fatto collisione.
La forte virata a sinistra fu la corretta decisione nella cosiddetta condizione “in extremis”. Calamai probabilmente pregò per un miracolo che ci mettesse al sicuro dalla prua della nave rompighiaccio Stockholm. Il miracolo non venne. La Stockholm, a velocità praticamente completa, tagliò quasi a metà il lato destro dell’ Andrea Doria appena sotto l’ala dove si trovava Calamai.
La collisione ebbe luogo alle 23,20. La prua della Stockholm si accartocciò nell’impatto, facendo un enorme buco nell’Andrea Doria e aprì il suo tribordo come un apriscatole.
Quando la Stockholm mozzata ritornò a galleggiare libera, l’oceano si riversò nella ferita spalancata del Doria facendoci inclinare gravemente a destra. Tutto accadde così in fretta che le scialuppe di salvataggio sul lato della porta divennero assolutamente inutili.
Quando la Stockholm si tirò indietro fuori dello squarcio apparve che aveva perso 75 piedi della propria prua. Un altro grave problema fu quello che, dopo l’impatto, la Stockholm non poté essere stabilizzato perché il suo sistema di ancoraggio era affondato. Risucchiato nel circolo della turbolenza, ancora una volta veniva a colpirci!
Nella tragedia qualche miracolo
La maggior parte di coloro che restarono uccisi furono schiacciata a morte nei loro letti.
La ragazza”miracolo” della catastrofe fu la giovane Linda Morgan. Essa era nell’ultima cabina che stava per essere schiacciata prima che la Stockholm si ritirasse via. Incredibilmente, l’impatto l’ha arrotolata nel suo materasso e l’ha proiettata in sicurezza tra i detriti causati dalla prua della Stockholm.
Il mio personale miracolo era avvenuto il giorno che abbiamo lasciato Genova quando fui costretto a cambiare cabina. Se non avessi cambiato posto sarei rimasto ucciso in una delle cabine che andarono completamente distrutte. La lunghezza effettiva dello squarcio era di 40 metri di larghezza per sette degli undici ponti dell’Doria Andrea.
A casa…
Il mio primo appuntamento al ritorno negli Stati era quello di St. Mary’s in Annapolis, Maryland. Fu lì che ho cominciato la lunga carriera su “L’affondamento dell’Andrea Doria” a partire dall’Accademia navale e lavorando nel mio cammino attraverso molte Conversazioni nelle colazioni comuni, cene sociali, pranzi e così via.
Ed ora, con la rinascita dell’interesse pubblico per il Titanic, vedo che nell’anno 2006 sarà il 50° anniversario dell’affondamento dell’Andrea Doria, e la lezione sul Doria può riprendere…
Vai al servizio originale in inglese.
Ecco il Momento Finale in cui il programma ULISSE narra la vicenda dell’ANDREA DORIA su Youtube.