S. Alfonso si fa povero con i poveri

Teologia e pastorale della carità in S. Alfonso Maria de Liguori
2d. La teologia della carità nel pensiero di S. Alfonso
S. Alfonso si fa povero con i poveri

2.2  S. Alfonso si fa povero con i poveri

Alfonso de Liguori non solo da ecclesiastico nel 1723, annullò la distanza tra lui, di famiglia aristocratica, e il popolo minuto, e si sbarazzò del lacché[1] che il padre a principio gli impose, ma poi, sacerdote, scese nei loro vicoli e piazzette, e finalmente andò a stabilirsi nelle loro campagne per dialogare[2]. Per incoraggiarli al dialogo, prese a vivere come uno di loro: barba tagliata appena con le forbici, vesti pulite ma rattoppate, somari per cavalcature[3].

I piccoli potevano parlargli da tu a tu: non ne avevano soggezione; neppure i custodi di pecore, capre e vitelli nei proquoi. Tuttavia i grandi signori di Napoli, i suoi compagni nel Foro, i grandi teologi, politici, cardinali, lo veneravano e gli baciavano la mano. Amico di tutti, ma specialmente dei poveri, perché era e chiaramente appariva essere amico di Dio[4]. Parlava ai poveri con il loro stesso linguaggio facendo breccia nel loro cuore. Colla voce, e colla maniera, con cui si spiegava… Questo, più che ogni altra cosa, faceva breccia ne’ popoli, e somma impressione[5].

Ciò che abbiamo detto finora della carità pastorale di Alfonso verso i poveri è ben manifestata dal pensiero di un sacerdote  suo penitente e confidente: Ben potea chiamarsi il nostro Padre, dice il sacerdote Salvatore Tramontano: Pater pauperum, mentre egli provvedeva ad ogni bisogno. A chi faceva scarpe, chi vestiva da capo a piedi, a chi dava medicamenti…[6].

Un santo per i poveri, un uomo per coloro che vengono diprezzati da tutti. Il suo schierarsi dalla parte dei poveri rappresenta una causa vincente. La sua teologia, in massima parte ha come fine originario il popolo, i poveri.
C’è una grande differenza tra lavorare per i poveri e lavorare con i poveri[7]. S.Alfonso precorrendo i tempi del Vaticano II in merito, ha valorizzato quella categoria ben amata da Gesù, ha – in ultima analisi – concretizzato con la vita l’optione preferenziale per i poveri[8].

Alfonso sia da sacerdote-missionario e ancor più da vescovo, fece la scelta privilegiata per i poveri in maniera concreta e decisiva. Oggetto di sua commiserazione fece per primo i tanti poveri. Amava questi, e preferivali a tutti, né lasciò sovvenirli il più che poteva. Riconoscendo in essi l’immagine viva di Gesù Cristo, par che a momento se li ripetesse: “Voi fate a me, quello che fate a questi”[9].

Non solo li ascoltava, ma ne condivideva in modo concreto le preoccupazioni domestiche, preoccupazioni di contadini, di boscaioli che andavano in montagna, spesso marito e moglie. Ecco come si lamentava uno di questi, quando Alfonso stava per lasciare la diocesi: Più di tutti se ne dolsero i poveri. In sentirsi la trista (notizia), le donne o pentite, o pericolanti, e così le zitelle povere, che speravano sussidio, tutte, sentendone la perdita, vedevansi inconsolabili: maggiormente tante famiglie bisognose, che da lui secretamente erano soccorse… Incontrandosi per strada il nostro Padre D.Angelo Gaudino con un povero villano, questi non poteva darsi pace per la partenza di Monsignore. Quando noi andavamo alla montagna (taburno), lasciavamo i nostri figli nel palazzo di Mosignore, ed eravamo sicuri di esser alimentati: ora che ha rinunciato, e se ne parte, a chi dobbiamo ricorrere?[10].

Faceva il possibile per assicurare a tutti un tozzo di pane e un letto, chiedeva aiuto per assistere i “suoi” poveri, tanto da meritare il titolo assai raro quello di “padre dei poveri”. Infatti Stimava egli i poveri come unica sua porzione spettatagli dal Gran Padre di famiglia[11]. Quando non poteva ottenere danaro, faceva penitenza e orazione non bastandogli il cuore di veder patire tanti poveretti[12].
Manifestava la carità soprattutto verso gli infermi. La praticava già da giovane frequentando l’ospedale detto degli incurabili in Napoli. Qui vi si recava una più volte la settimana: rassettava i letti, cambiava la biancheria, si dava da fare nel fasciare e medicare i bisognosi.
Così ci ricorda il Tannoia: la casa degl’incurabili era divenuto quell’ospedale la delizia del cuore di Alfonso: ivi vedeva in prospetto le umane miserie: ivi, a vista di quei marciumi, digeriva i bocconi più amari; ed ivi se mai in cuor suo si muoveva passione mal regolata, l’assoggettava al retto senso, ed a Dio[13].

Questo esercizio di grande carità, che ricorda in modo vivo l’insegnamento di Gesù che nella parabola del buon samaritano chiede di essere soccorso e amato, Alfonso lo eserciterà ancor più durante gli anni dell’episcopato, memore delle parole di Gesù: Va’ e anche tu fa lo stesso (Lc 10,37).
In una sua lettera leggiamo: Raccomando specialmente l’attenzione e carità cogl’infermi, con visitarli e provvederli de’ rimedii necessarii, quanto si può, con dimandare loro se bisogna qualche cosa; e quando la povertà non lo comporta, almeno consolarli, quanto è possibile[14].

Alfonso aveva molto a cuore gli infermi, perché riconosceva in essi il Cristo sofferente e paziente che aspetta di essere curato e visitato con amore particolare: Informato, che qualche poveretto penava in letto, e non aveva come accorrere a propri bisogni, non lasciava provvederlo di vitto, e medicamenti, e mandarli danaro per olio, e legna, e per ogn’altro bisognevole; anche, così portando il bisogno, di dolci, e confetture. Non contento sollevar questi poveretti nella loro indigenza, visitavali di persona. Suonate le ore ventitré, come dissi, alzando mano al tavolino, suo sollievo era portarsi per case; e se persone vi erano gravemente inferme, visitarle, e consolarle. In questo non eravi eccezione di persone. Chiunque, annorché fosse la feccia del popolo, veniva consolato… Vedendosi il male di taluni non curabile in Diocesi, egli adopravasi, che, con suo interesse, portato si fosse negli ospedali di Napoli[15].

Lo stesso suo episcopio divenne, in diverse circostanze un ospedale, dove poter curare coloro che avevano bisogno: Un romito della chiesa di S.Nicolò in Ischia, essendosi portato per consiglio da Monsignore, vi cadde infermo. In saperlo, tutto carità volle, che situato fosse nell’Episcopio. Visitavalo spesso, soddisfacendo per lui e medici, e medicamenti; né permise che partisse, se non dopo un mese, e nol vide totalmente ristabilito[16].

Commovente è il racconto fatto dal biografo Tannoia sulla sensibilità che Alfonso aveva per coloro che cadevano malati: Essendosi portati in S.Agata, per conferire con lui, Monsignore Borgia, e Monsignor Pallante, vi cadde infermo il cocchiere. Alfonso fe subito darli in palazzo camera, e letto. Divenuta grave l’infermità, e essendosi prestati gli ultimi Sacramenti, egli, con viscere di Padre, visitavalo spesso, e sollecito facevalo assistere da’ suoi domestici. Accorso il figlio da Napoli, compassionato la di lui angustia, anche lo ricevette con amore. Convalescente trattar facevalo con tutta particolarità così nel vitto, che in ogni altro bisogno. Non fu meno la dimora del padre, e del figlio, che di un mese, e giorni[17].

Il Berruti, sinterizza così l’opera caritativa del vescovo Alfonso: Aveva ordinato al sagrestano della cattedrale in Sant’Agata, e della collegiata in Arienzo, che senza meno avvisato lo avessero quotidianamente di coloro, i quali comunicavansi la mattina per viatico, ed andava di persona a visitarli il dopo pranzo senza eccezione di persone, ecclesiastiche, nobili o plebee, povere o ricche: ed in queste visite oltre i buoni sentimenti e conforti spirituali largiva altresì, se eran poveri, dei sussidi caritativi: quindi mandava continuamente da essi il suo servitore per sapere, come la passavano in salute, e che cosa loro bisognasse[18].

All’epoca di S.Alfonso erano di “moda” i cosiddetti Memoriali, vere e proprie petizioni, fatte dai poveri per avere qualcosa per vivere. S.Alfonso era molto facile a firmare queste petizioni in favore dei poveri perché avessero il necessario per vivere. Nel favorirli sempre e dovunque così diceva: Il soverchio è un furto che si fa ai poveri, e non va bene[19].

Questi Memoriali indirizzati al Governatore di una chiesa – nel nostro caso della chiesa dell’Annunziata in Arienzo, annessa al monastero A.G.P. cioè “Ave Gratia Plena[20]” -, venivano a loro volta raccomandati dal vescovo Alfonso, il quale era sempre sensibile alla voce dei poverelli, accoglieva con animo deferente i loro Memoriali e convalidati con una calda raccomandazione stesa dal segretario vi apponeva la propria firma autografa[21].
Il Padre Tannoia a proposito di queste suppliche della povera gente, che in quel periodo non era scarsa, rileva: Nella folla di tanti memoriali, che per vari motivi capitavano dalla diocesi, se taluno ne ritrovava di qualche povero, dir soleva tutto allegro: oh questo sì che mi piace: è memoriale per limosina[22].
S.Alfonso poco gradiva, come si legge tra le righe della sua vita, le domande di privilegi come dispense da leggi canoniche o da norme diocesane, di cui ambiva circondarsi l’onorata società settecentesca con vedute feudali[23]. Se accordava, molto raramente, qualche facoltà sollecitata da ecclesiastici o borghesi doviziosi, si mostrava in ogni occasione disponibile verso i poveri e senza indugio andava incontro ai medesimi, dando loro ogni precedenza per impulso di carità soprannaturale[24].

Il Padre Berruti in un capitolo denso di notizie ci fa capire le abituali disposizioni interiori del santo, che fu nella nonagenaria esistenza un autentico signore, munifico verso i poveri, per quanto austero con se stesso e con i suoi parenti. Nessuno forse più di lui riconobbe la funzione sociale del denaro: La liberalità di questo santo è stata così grande da farlo paragonare ai più rinomati eroi della religione, e nei tempi a noi più vicini ad un Tommaso da Villanova, ad un Carlo Borromeo, ad un Francesco di Sales[25].

Nel regno di Napoli risuonò la sua carità squisita e piena di iniziative, in modo distinto, durate la terribile carestia  del 1763-64. In quella calamità S.Alfonso non attese il soccorso dall’alto, miracolisticamente. Uscì sulla piazza per organizzare con tempestiva capacità una complessa azione di assistenza, che ci fa pensare a S.Basilio nei duri giorni di Cesarea[26]. Avendo previsto la malannata, fece acquisti di fagioli, fave ed altri legumi. Scomparsi i generi alimentari dal mercato, crebbe tra la gente l’egoismo. Il popolo bisognoso cominciò a riversarsi dal vescovo per domandare un pezzo di pane. Alfonso, allora, mutò il suo episcopio nell’Annona della Carità con paterna ed intelligente dedizione[27].

Per far fronte alla fame, Alfonso vendette due anelli preziosi: l’uno, regalatogli dalla nobildonna Giovanna Sersale, consorte del cugino Francesco Cavalieri, e l’altro, regalatogli dallo zio Mons. Cavalieri vescovo di Troia. Vendette pure la croce pettorale di oro, servendosi di una d’argento indorato nelle funzioni liturgiche. Si disfece, in seguito, delle ricche posate, dicendo: Bastano a noi quelle di ottone[28]. Non contento di questo voleva poi vendere il rocchetto e l’orologio ma gli fu impedito anche per l’esiguo guadagno. Gli restava la carrozza, necessaria per muoversi nella diocesi: non fece passare troppo tempo che la vendette, nonostante i ripetuti dinieghi del vicario e dei canonici; diceva: S.Pietro era Papa e non andava in carrozza, ed io non sono da più di S.Pietro[29].

Distaccato dagli agi era solito ammonire il fratello laico che l’accudiva: A me basta un pezzo di pane bagnato: vi sono tanti poverelli: del denaro che amministrate del mio, fatene elemosine, ed in ispecialità a qualche persona, che sapete trovarsi in pericolo di offendere Dio[30]. Altre volte con accenti più mossi soggiungeva: Io mi contento di un tozzo di pane bruno, e voglio esser trattato come ogni poverello[31].

Della carità di Alfonso molti – purtroppo –  ne abusarono, ricorrendo a sotterfugi spregevoli e meschini. Più di un canonico s’indignò; il decano Daddio accortosi dei gesti biasimevoli si credette in dovere di avvisare Alfonso a moderarsi e a non lasciarsi ingannare da gente furba che senza pensarci due volte ci speculava sopra. Il Santo senza innervosirsi rispose con evangelica larghezza: Questo non fa male, meglio dare il soverchio, ed esser ingannato, che dare il manchevole, ed esser da Cristo rimproverato[32]. Una massima che merita tanta attenzione ed altrettanta meditazione. Un insegnamento che dovrebbe essere preso in considerazione da molti, nonostante i crescenti casi di dubbio soccorso. E’ meglio dare il di più che poi esser da Cristo rimproverato! Un insegnamento – quello di Alfonso – che s’ispira alla carità fraterna praticata ed additata da Cristo e non alle impressioni esteriori e al calcolo per evitare facili sbagli morali[33].

 

 Video
Il messaggio spirituale di S. Alfonso = On. Oscar Luigi Scalfaro 1987
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    [1] Lo schiavo che Don Giuseppe de Liguori procurò ad Alfonso era di religione islamica. Non passò molto tempo che Abdallah – questo era il suo nome – chiese di diventare cristiano. Così ci narra il Tannoia: Dimandato, come, e perché una tale risoluzione? Rispose: Mi son mosso dall’esempio del mio Padrone: non può esser falsa, questa religione, in dove il mio padrone con tanta onestà e divozione. Abdallah morì a diciotto anni “a capo di mezzora… con aria ridente“. Il suo atto di battesimo e di ingresso al cielo portava la data del 20 giugno 1715. A.M.TANNOIA, I, 13; T.REY-MERMET, 138-139; A.L’ARCO, S.Alfonso amico del popolo, Napoli 1982, 23.

    [2] D.CAPONE, Il Personalismo in Alfonso Maria de Liguori, in P.GIANNANTONIO (cura di), in Alfonso M. De Liguori e la società civile del suo tempo, op.cit., 227; G.ORLANDI, S.Alfonso e i laici: la fondazione delle “cappelle serotine” di Napoli, in SH, 35 (1987), 393-414.

    [3] T.REY-MERMET, 323; A.L’ARCO, S.Alfonso Amico del popolo, op.cit., 45.

    [4] D.CAPONE, Il Personalismo in Alfonso Maria de Liguori, op.cit., 227-228.

    [5] A.M.TANNOIA, II, 306.

    [6] AGHR, XXXV, 17.

    [7] H.CAMARA, S.Alfonso e i poveri, in P.GIANNANTONIO (cura di), in Alfonso M. De Liguori e la società civile del suo tempo, op.cit., 654.

    [8] L.BOFF, Quando la teologia ascolta il povero, Assisi 1984, 24-46.

    [9] A.M.TANNOIA, III, 351.

    [10] Ibidem, 409.

    [11] Ibidem, 353.

    [12] Ibidem, 352.

    [13] A.M.TANNOIA, I, 25.

    [14] LETTERE, I, 419.

    [15] A.M.TANNOIA, III, 358.

    [16] Ibidem, 368.

    [17] Ibidem, 368-369.

    [18] C.BERRUTI, 172.

    [19] A.M.TANNOIA, III, 369.

    [20] O.GREGORIO, Memoriali di Poveri firmati da Sant’Alfonso Vescovo, in SH, 21 (1973), 4.

    [21] Ivi.

    [22] A.M.TANNOIA, III, 356.

    [23] Cfr. O.GREGORIO, Memoriali di Poveri firmati da Sant’Alfonso Vescovo, op.cit., 5.

    [24] Ivi.

    [25] C.BERRUTI, 172-173; O.GREGORIO, Memoriali di Poveri firmati da Sant’Alfonso Vescovo, op.cit., 5.

    [26] Cfr. S.BASILIO, Ricchezza, povertà e condivisione, Padova 1990.

    [27] O.GREGORIO, Monsignore si diverte, Materdomini 1987, 58-61; J.A.DES ROTOURS, Sant’Alfonso De’ Liguori (1696-1787), Roma 1910, 132-135.

    [28] A.M.TANNOIA, III, 94.

    [29] Ivi.

    [30] C.BERRUTI, 177.

    [31] Ivi.

    [32] A.M.TANNOIA, III, 357.

    [33] Cfr. O.GREGORIO, Memoriali di Poveri firmati da Sant’Alfonso Vescovo, op.cit., 6.