Teologia e pastorale della carità in S. Alfonso Maria de Liguori
2a. La teologia della carità nel pensiero di S. Alfonso
1. Il termine Carità -Amore – 1.1 L’amore di Dio – 1.2 L’amore del prossimo
1. Il termine Carità -Amore
Ugo di S. Vittore, nella sua non ampia trattazione sulla carità[1], dà ampio spazio alla riflessione sulla duplicità del precetto divino dell’amore. Illustrandone le ragioni, tra l’altro dice che la carità di Dio e la carità del prossimo non possono andare confuse. Dio e prossimo, infatti, non possono essere amati per lo stesso ed unico motivo: solo Dio, in quanto bene e gaudio
dell’uomo, deve essere amato per se stesso. Il prossimo, invece, quale compagno e compartecipe del gaudio che si ha in Dio, unico bene, va amato per Dio. Dio, quindi, deve essere amato per poterlo avere in sé e possederlo come proprio bene e proprio gaudio, il prossimo deve essere amato o in quanto ha già in sé Dio o perché, non possedendolo ancora, lo abbia e sia, in lui, socio nella
partecipazione alla beatitudine e alla pace[2].
Tale riflessione ha influito molte “scuole teologiche” entrando con una certa insistenza nel pensiero di Pietro Lombardo. Alla domanda cosa sia la carità Pietro Lombardo ne fa una duplice distinzione una sul piano divino l’altra su quella del prossimo: quid sit charitas: Charitas est dilectio qua diligitur Deus propter se, et proximus propter Deum, vel in Deo; oppure: Ex una enim eademque charitate Deum proximumque diligimus; sed Deum propter Deum, nos vero et proximum propter Deum[3].
Questa esposizione risulta, nella sua sinteticità, una vera e propria definizione sulla terza delle virtù teologali, nonostante non
possa vantare l’approvazione del principe dei teologi S.Tommaso d’Aquino. Ben presto però questa interpretazione si impose sino a diventare definizione comune a motivo del rapido e fortunato diffondersi delle Sententiae[4].
Non c’è da stupirsi, perciò, che tali concetti vengano ripresi anche dal Nostro moralista napoletano. S.Alfonso, infatti, non esita a definire la carità come: Charitas definitur: est virtus, qua diligimus Deum propter seipsum, ac nos et proximum propter Deum[5].
1.1 L’amore di Dio
L’amore che l’uomo deve avere per Dio non può avere altra caratterizzazione che quella di “amore di amicizia”. Per l’uomo, infatti, amare Dio non ha altro significato che volere per lui ogni bene in ragione del fatto che è un essere costituito in una realtà che ha per propria ed esclusiva connotazione l’assolutezza, l’infinità, la perfezione in sommo grado. Così scrive S.Alfonso: Charitas Dei est amor amicitiae, quo Deo bene volumus: et omnia bona ispi cupimus, ob summam et infinitam eius divinae naturae perfectionem[6].
L’uomo, perciò, non può guardare a Dio semplicemente come l’oggetto, sia pure primario, del proprio amore, ma deve anche vederlo come il motivo stesso per il quale è chiamato a tributargli il suo amore: se l’uomo deve amare Dio, è unicamente
perché Dio è bontà infinita, fonte e aggregazione di tutte le perfezioni[7].
1.2 L’amore del prossimo
Il cristiano non è tenuto solo ad amare Dio, è tenuto ad amare anche il prossimo. Dal dovere di amore Dio scaturisce quello dell’amore al prossimo. La 1Gv infatti, esplicitamente collega l’amore dei fratelli all’amore di Dio: Chi ama Dio, ami anche il suo fratello (1Gv 4,21). Quindi non ama veramente Dio chi non ama l’uomo, perché chi non ama l’uomo, non ama neppure Dio: Amor erga Deum amori erga proximum coit. Qui diligit Deum, diligit et fratrem suum, scripsit S.Ioannes (16,24). Qui non amat proximum, ne Deum quidem amat[8].
Il comandamento dell’amore del prossimo, però, non impone di amare solo coloro che contraccambiano tale gesto, ma va ben oltre, fino ad invitare ad amare il proprio nemico e a pregare per i propri persecutori (Lc 6,27; Mt 5,44). Anche essi sono infatti “prossimo”.
L’amore ai nemici costituisce la qualificante e caratterizzante peculiarità che porta il cristiano a collocarsi su un piano di differenziazione rispetto al non cristiano: mentre chi non crede in Cristo ama solo chi lo ama, il discepolo di Gesù ama anche chi non lo ama[9].
[1] Cfr. UGO DI S.VITTORE, De Sacramentis christianae fidei, II, 13,6-12: in PL 176, 528-550; F.CAYRÉ, Patrologia e Storia della Teologia, Roma 1938, 478-487;
[2] Cfr. Ibidem, II, 16,6: in PL 176,528-531.
[3] PIETRO LOMBARDO, Sententiae, III, 27,2-3: in PL 192,812; F.CAYRÉ, Patrologia e Storia della Teologia, op.cit., 494-500.
[4] Cfr. R.RUSSO, Carità e vita cristiana secondo S.Alfonso, in “Aprenas“, 35 (1988), 57-80.
[5] S.ALFONSO, Homo Apostolicus, in Opere Complete, VII, 77; Istruzione e pratica pei confessori, IX, 81; Confessore diretto per le confessioni della gente di campagna, IX, 658.
[6] S.ALFONSO, Theologia Moralis, op.cit., 225.
[7] Ibidem, 226-227.
[8] S.ALFONSO, Institutio Catechistica ad populum…, in Opere Complete, VII, 810, 811, 819.
[9] R.RUSSO, Carità e vita cristiana secondo S.Alfonso, op.cit., 64.