8. S. Alfonso e i sacerdoti
Nota caratteristica di S. Alfonso è la sua predilezione per i poveri, gli abbandonati: «le anime più destituite di spirituali soccorsi» come dicevano allora e sta scritto nelle nostre Regole. Tra le persone più bisognose di aiuto spirituale S. Alfonso poneva i sacerdoti. Considererò dunque questo argomento, non soffermandomi su tutto quanto S. Alfonso ha fatto e scritto, specialmente nelle opere teologico‑morali, né sui religiosi, ma sulle cose principali a favore del clero.
A quei tempi città e paesi traboccavano di preti. Molti, troppi, erano preti senza vocazione, costretti allo stato ecclesiastico dai genitori, soprattutto per motivi economici: succedeva anche per le ragazze, per le suore, che allora erano monache, cioè di clausura. In tale situazione, il livello spirituale, culturale e sociale, cioè lo stato economico, spesso era molto basso, o addirittura carente. Non mancavano preti facinorosi, delinquenti, addirittura assassini. Perciò presso conventi e diocesi, esistevano carceri ecclesiastiche. Grazie a Dio oggi le cose sono molto mutate.
Le Case redentoriste aperte ai sacerdoti
Le prime realizzazioni che fece S. Alfonso a favore dei preti non furono gli scritti, ma le case, i nostri conventi redentoristi. S. Alfonso non le volle nelle città, dove i conventi sovrabbondavano, dove queste case di esercizi per i preti esistevano già: c’erano i Gesuiti, i Lazzaristi, cioè i chierici della Missione e tanti altri. Le volle invece nei piccoli centri rurali. Dovevano essere grandi e aperte a tutti, affinché laici e preti dei dintorni potessero venirvi per gli esercizi spirituali e per la formazione permanente: in teologia morale, in teologia dogmatica, teologia spirituale, liturgia e sacra scrittura, mediante incontri di preghiera e conferenze e discussioni che allora si chiamavano Accademie o Casi.
Tutto avveniva gratuitamente, anche se S. Alfonso e i suoi Redentoristi erano molto poveri. Dalla sua attività di predicatore, dalla pratica pastorale e dalla sua esperienza, S. Alfonso fu spinto a scrivere per la formazione di un più vasto pubblico sacerdotale, come faceva per la gente. Gli scritti erano per lui l’amplificazione del pubblico, il mass‑media, la radio e la televisione di cui potesse disporre a quei tempi e se ne servi. Se ne servi senza risparmio.
Gli scritti per i sacerdoti
Il primo libro che scrisse va a monte della questione « sacerdoti» e si rivolge ai loro padri e pastori: i vescovi. È del 1745, quando S. Alfonso aveva quarantanove anni, e ha per titolo Riflessioni utili ai Vescovi per la pratica di ben governare le loro cbiese. Ne inviò copia a tutti i vescovi d’Italia, che allora erano tantissimi. Nella prima parte parla delle premure che il vescovo deve avere per il seminario, gli ordinandi, i sacerdoti, i parroci, i religiosi, il vescovado, cioè la casa del vescovo, con tutto il personale. Nella seconda parte espone i nove mezzi che il vescovo deve mettere in pratica per ben governare: preghiera, esempio, residenza ‑ molti vivevano lontani dalla diocesi ‑ visita pastorale, missioni, sinodo, consiglio, udienza, correzione.
Non è il caso di soffermarci sui singoli punti; basti notare che la prima parte riguarda la scelta e la formazione delle vocazioni, la seconda la pastorale e termina con la denuncia implicita di una piaga che esige nel vescovo fermezza e coraggio: «da correzione dei discoli o poco osservanti dei doveri sacerdotali». S. Alfonso ritornò sull’argomento in modo particolare con un Regolamento per i seminari, dopo che era intervenuto in un seminario con molti seminaristi indisciplinati, anzi addirittura rivoltosi. E anche lì parla dell’importanza del seminario, dei doveri del vescovo, del rettore, del prefetto e degli stessi seminaristi e dà a tutti consigli di aiuto spirituale oltre che quelli pratici, di come ci si deve regolare.
Dunque, egli aveva molto a cuore i sacerdoti, li voleva santi. Ma li voleva anche dotti. Perciò: formazione dottrinale e vita esemplare. Su questi due argomenti si impegnò a fondo. Cominciò dalla formazione dottrinale dei sacerdoti, soprattutto quella concernente il campo così importante e complesso dell’agire morale, del vivere cristiano anche del prete.
Il sacerdote deve essere un buon giudice e una esperta guida delle persone alle quali deve proporre sempre la santità (la pratica della virtù), resa possibile a tutti dall’abbondante redenzione del Cristo e dall’amore misericordioso di Dio Padre, che ama il peccatore e ne vuole la salvezza. E questo è un impegno forte di S. Alfonso in morale contro il rigorismo, l’eccessivo rigorismo che a quei tempi imperava. Il sacerdote esercita questa azione come confessore nel ministero della riconciliazione. Deve perciò essere ben ferrato in teologia morale per essere giudice, ma soprattutto medico, guida e padre.
Ecco il grande impegno nel campo della teologia morale a partire dal 1746 soprattutto con la sua grande Theologia moralis, alla quale lavorò per tutto il resto della vita, fino al 1785, due anni prima della morte, quando mise a posto la nona edizione. Della Teologia Morale ha parlato padre Sabatino Majorano: dunque mi limito a richiamare qui l’importanza dell’opera di S. Alfonso e, soprattutto, del trattato che riguarda la coscienza.
Per la formazione delle coscienze
Nel 1755, nella seconda edizione della Teologia Morale, aggiunse in appendice un libro meraviglioso la Pratica del confessore per ben esercitare il suo ministero, in italiano, a differenza della Theologia che era scritta in latino. Nella terza edizione, tradusse in latino questa operetta perché fosse diffusa anche all’estero, col titolo Praxas confessarii ad bene excipiendas confessiones. Ed è sotto questo nome di Praxis Confessarii che l’opera è conosciuta. Fu molto diffusa anche l’edizione italiana a parte, come quella latina.
Lo stesso S. Alfonso favorì questa pubblicazione come opera indipendente. Scrive Monsignor Pistoni, che ha curato l’ultima edizione in italiano di quest’opera nel 1948: «Non conosco alcun’opera che possa essere tanto vantaggiosa al sacerdote nel ministero della penitenza, quantola Pratica del confessore di S. Alfonso. Libro che è tutto profonda scienza morale, ascetica e mistica; tutto carità, prudenza e moderazione, ed insieme ardente zelo per la salvezza delle anime». E nel congresso teresiano di Madrid del 1923 fu detto che «nessun confessore né direttore deve ignorare il trattato, dove è compendiata tutta la dottrina mistica e ascetica di S. Teresa di Gesù, di S. Francesco di Sales e del medesimo S. Alfonso».
Quindi non è solo un’opera per ben confessare, ma anche per essere buoni padri spirituali, come voleva S. Alfonso che fosse ogni sacerdote, guida delle anime; non soltanto per rimettere i peccati, non soltanto giudice, ma padre, pastore e maestro di vita spirituale; non soltanto di sacerdoti e suore, ma di tutti i semplici cristiani anche delle campagne, degli ignoranti, i «rudes»: tutti sono chiamati alla santità.
In latino ed in italiano
Preoccupato poi del fatto che non tutti i sacerdoti conoscevano il latino, e non curante di chi criticava e sosteneva che questo tipo di opere dovessero essere pubblicate solo in latino, nel 1757 pubblicò in italiano, ottenendo un immediato successo, un vero trattato scolastico di teologia morale, desunto dalla grande opera, ad uso dei suoi seminaristi di S. Agata dei Goti. Si tratta di Istruzione e pratica per li confessori. Naturalmente quest’opera riprende parecchio dalla precedente che ho citato. Il grande successo di quest’opera in italiano, di questo trattato di teologia morale ad uso scolastico «per aiutare i confessori ignoranti, a cui puzza la lingua latina», spinse il Remondini a farlo tradurre in latino. S. Alfonso lo fece in brevissimo tempo con la sua équipe di confratelli traduttori, e usci col nome di Homo Apostolicus e fu divulgata molto anche all’estero.
Preoccupato non solo della formazione scientifica, ma anche dell’attività pastorale dei sacerdoti, S. Alfonso scrisse inoltre gli Avvertimenti ai sacerdoti che assistono i condannati a morte. Avendo lui stesso fatto assistenza ai condannati a morte e, giovane sacerdote, anche assistito all’esecuzione di alcuni, parlò non soltanto come esperto dottrinale, ma anche come esperto di pratica, vissuta nella realtà rimanendone sconvolto. Quindi è un’opera interessante anche per la sua testimonianza personale.
Qualche anno dopo, in aiuto dei giovani e inesperti sacerdoti, scrisse: Avvertimenti ai confessori novelli. Si trattava di dieci regole da seguire con i differenti generi di penitenti: i bambini, le donne, i più ignoranti, i meno ignoranti, i più avanzati nella vita spirituale ecc. in modo che i giovani sacerdoti avessero una guida pastorale per ben confessare. Inoltre scrisse Il confessore diretto per le confessioni della gente di campagna. È un estratto delle opere precedenti, una sorta di sintesi, con l’intento non solo di esprimere le cose in modo più semplice, ma anche di ridurle di formato, di pagine, perché questi poveri preti non avevano i soldi per comprarsi i tomi più grandi. Otteneva più scopi: esposizione più facile, economicità, maggiore possibilità di fare del bene a tutti quanti.
Per l’amore che aveva nei confronti dei sacerdoti, per il rispetto che aveva per l’Eucaristia, S. Alfonso non si limitò soltanto alla formazione dottrinale e pastorale per le confessioni, per la guida delle anime, ma si preoccupò anche della spiritualità dello stesso sacerdote. A parte i sussidi che compilò per la predicazione e la meditazione, come la Selva di materie predicabili e altre opere del genere, Apparecchio alla morte, Considerazioni sulle massime eterne utili a tutti per meditare e ai sacerdoti per predicare, scrisse alcuni opuscoli molto importanti, come l’Apparecchio e ringraziamento per i sacerdoti nel celebrare la messa. Come scrisse a una suora, egli si serviva ogni giorno di questi affetti e preghiere, e posso dire che anch’io ogni giorno, quando posso, seguo questo libretto nel prepararmi alla messa e nel ringraziamento. Si tratta di considerazioni, preghiere e offerte: le intenzioni della santa messa. Si tiene presente tutto il mondo, anche gli eretici, anche i fratelli separati, le anime del purgatorio.
Per una buona celebrazione della liturgia
Scrisse altre opere che potrebbero essere molto utili ancora oggi, come La Messa e l’Uffizio strapazzati, in cui parla della dignità del sacerdote, della dignità del sacrificio ecc., delle rubriche, inoltre considerazioni e preghiere utili per celebrare bene la santa messa.
Un altro libro, Delle cerimonie della Messa, non si ferma soltanto all’aspetto rubricistico, sebbene dominasse in quei tempi, ma va oltre, alla spiritualità delle rubriche, alla dignità della celebrazione che fosse armoniosa e dignitosa, non affrettata, non indevota, ma educatore sia del prete che dei fedeli che partecipavano alla Celebrazione Eucaristica. Questo libro considera inoltre gli abusi nel prendere le messe, un tema che potrebbe interessare molti confratelli. L’autorità ecclesiastica ‑se ne è occupato anche il Papa ‑ ha emanato norme al riguardo per evitare abusi. S. Alfonso scrisse dunque non per scrivere, ma per suo impulso interiore, per l’amore che portava ai sacerdoti.
Vorrei concludere con la preghiera in ringraziamento desunta da S. Alfonso: Preparazione e ringraziamento alla Messa.
«Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 51, 10). Ne va di mezzo il tuo stesso onore, avendomi fatto tuo sacerdote, tuo ministro, destinato a sacrificarti il tuo stesso figlio. Fammi vivere da sacerdote. Dammi un cuore che ti ami da sacerdote. Consumami nelle fiamme del tuo santo amore; distruggi in me ogni affetto terreno. ‑ E poi continua ‑ Mio Dio, attirami tutto a te. Dammi pazienza e rassegnazione nelle prove e nelle avversità. Dammi la forza di mortificarmi per amor tuo. Dammi lo spirito della vera umiltà fino a compiacermi di essere ritenuto vile e buono a nulla. «Insegnami a fare la tua volontà», (Sal 143, 10) Dio mio, io spero di amarti eternamente: voglio amarti molto in questa vita, per amarti molto nell’eternità. E perché ti amo, o Signore, vorrei vederti da tutti conosciuto e amato. Mi hai fatto tuo sacerdote, ora dammi anche la grazia di saper lavorare per te e portarti tante persone. Lo spero per i tuoi meriti, o Gesù mio, o per la tua intercessione, o Madre mia Maria ‑ Amen».
La Madre del sacerdote non manca mai nelle preghiere di S. Alfonso.
da Roma 29 agosto 1996
P Vincenzo Ricci