34 – Il servo di Dio Gioacchino Gaudiello
di P. Claudio Benedetti, 1903 – traduzione di P. Antonio Panariello, 1998.
Le date ufficiali
dal Catalogus Sodalium.
- Nascita = 01-ago-1719
- Morte =18-apr-1741
- Professione = 21-lug-1740
Il profilo (le date sono state conformate a quelle ufficiali)
Nel gruppo degli eroici uomini che, sotto la guida di S. Alfonso, si riunì fin dagli inizi dalla nostra congregazione, il servo di Dio Gioacchino Gaudiello fu da Dio ritenuto degno di andarsene per primo dalla terra e portare in cielo il vessillo del nascente istituto.
Nacque a Bracigliano, città della diocesi di Salerno, nell’agosto 1719. Viveva piamente in casa dello zio, parroco di Ciorani, quando, attratto dalla santità di S. Alfonso, chiese di essere ammesso nella Congregazione come fratello laico e l’ottenne il 20 gennaio 1738.
Superò le difficoltà dei parenti col dire: “Voglio essere santo, abbracciare la croce di Cristo e vivere nel disprezzo del mondo!”. Trascorso felicemente il noviziato a Scala, ritornò a Ciorani, dove, dichiarata guerra al proprio corpo, cominciò a torturarsi a sangue con cilizi, catenelle e flagelli.
Tuttavia, una volta, non resistette alla tentazione della gola e senza badarci strappò dall’albero tre fichi e li mangiò; ma poco dopo, si pentì talmente che si accusò di questa brutta azione in pubblico, mentre copiose lacrime gli sgorgavano dagli occhi.
Da questa ‘mancanza’ ricavò una maggiore spinta per tendere alla perfezione giorno dopo giorno. Si rivolgeva spesso a Dio con giaculatorie; ogni giorno riceveva la comunione, ardeva d’amore per la Madredi Dio; era ininterrottamente al lavoro; interveniva per primo agli atti della comunità. Diceva a se stesso: “Vinciti, Gioacchino. Cos’è il mondo se non morte? Anzi un inferno?”
Si dimostrava pronto all’obbedienza e aiutava non solo i Padri ma anche i fratelli, se glielo comandavano. Soleva ripetere: “Dio mi ha chiamato a servirlo. Poco importa se debba servire i padri o i fratelli, purché si serva”. Tutti erano conquistati dall’innocenza che aleggiava sul suo volto. Aveva lo sguardo sempre rivolto a terra così da non sapere se in chiesa ci fossero donne o uomini. A chi gli chiedeva perché parlasse alle donne non di fronte, ma di fianco, diceva: “Bisogna ascoltare non con l’occhio, ma l’orecchio!”. A stento , una sola volta, guardò la madre e per di più per ordine dei superiori!
Meticoloso osservante della povertà, rimuoveva subito dalla cella ciò che vi trovava di superfluo e quanto più rappezzato era il suo abito, tanto più era contento, mentre si addolorava se qualcuno mancava anche lievemente contro la povertà.
Pertanto non sembrava strano che S. Alfonso, ai compagni allora vivevano a Ciorani impegnati nell’esercizio di ogni virtù, più volte pronunciasse queste parole: “Corriamo, perché Gioacchino va innanzi!” Perciò il santo Fondatore, a venti anni e dopo due dall’ingresso della Congregazione, lo giudicò degno di emettere i voti insieme ai primi Padri il 21 luglio 1740.
Ma ormai Gioacchino era più gradito a Dio che agli uomini e si avvicinava il giorno di lasciare per sempre la terra per congiungersi a Dio. Cominciò ad essere tormentato da una febbre ribelle fino a che, non potendo stare in piedi, si mise a letto. Allora trasformò la cella in una dimora di perfezione. Infatti, abbracciata la croce della malattia, ringraziava Dio che gliela aveva mandata per il bene della sua anima. Sebbene i dolori lo incalzassero, non perdeva la sua tranquillità, dicendo: “Ecco il mio specchio, Cristo Crocifisso!”.
A chi gli chiedeva quando e come volesse essere accolto in Paradiso, rispondeva: “Lo voglio, ma quando piace al mio Gesù!” Era felice di essere il primo congregato ad andare in cielo: “Io porto lo stendardo!”. Ricevuto il santo viatico, sembrò un serafino e chiesto di cosa provasse, disse: “Sento proprio nel cuore la presenza del Re del cielo!”. Dopo l’unzione degli infermi, dava segni di umiltà così numerosi che i presenti non trattenevano il pianto. Il giorno precedente la morte, gridava: “Paradiso, Paradiso!” e vi entrò innocente, l’anima liberata dai legami del corpo.
S. Alfonso sulla sua tomba pose questa iscrizione: “Fratello Gioacchino Gaudiello, ricco di ogni virtù, aspirando a conformarsi a Cristo, in tutto si conformò al suo modello. Per la sua pazienza nella malattia, la sua mitezza nelle avversità, la sua obbedienza, manifestò a tutti la vita di Gesù Cristo. Non sul legno della Croce, ma con il desiderio della Croce e nell’abbraccio della bara fu il primo che conquistò la corona della gloria celeste”.
Poiché era stato già sepolto e mancava una sua immagine, su consiglio del vescovo Falcoia, a dieci giorni dalla morte se ne aprì la tomba. Tra la meraviglia di tutti il morto apparve bello, come se dormisse tranquillamente!
Sotto il ritratto, allora dipinto, c’è questa iscrizione: “Fr. Gioacchino Gaudiello, di Bracigliano, figlio della Congregazione del Santissimo Redentore, nella quale, da vivo, fu modello di ogni virtù. Morì a Ciorani il 18 aprile 1741, a 22 anni, stringendo il Crocifisso tanto amato”.
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