11 – Il Servo di Dio P. Emanuele Ribera
di P. Claudio Benedetti, 1903 – traduzione di P. Antonio Panariello, 1998.
Le date ufficiali
dal Catalogus Sodalium.
- Nascita = 08-mar-1811
- Morte = 08-nov-1874
- Professione = 26-mag-1831
- Sacerdote = 14-mar-1835
- Venerabile = processo di beatificazione iniziato a Napoli nel 1887 e nella Santa Sede nel 1912.
Il profilo (le date sono state conformate a quelle ufficiali)
Il servo di Dio Emanuele Ribera, giustamente chiamato insigne direttore della coscienza, nacque da nobile famiglia a Molfetta, in Puglia l’8 marzo 1811. Si dice che, quando la madre lo partorì, la casa d’un tratto fu investita di una luce insolita: ciò da tutti fu ritenuto un fausto auspicio. Guidato dalla madre, cristiana fervente, subito ne assimilò la pietà e manifestò la sua amabile indole con il candore dell’innocenza.
Conquistato dall’amore per la vita eremitica, si sentiva appagato solo quando pensava alle realtà del cielo; i suoi passatempi di bimbo furono di imitare il sacerdote che celebrava e andare in chiesa in compagnia della madre. Insieme al latte prese a bere anche la devozione verso la Vergine Addolorata.
All’età di appena tre anni cominciò ad onorarla con il digiuno ogni sabato. Si dice che era solito predicare ai suoi coetanei o da una sedia o da altro luogo elevato e li esortava ad amare Dio con un trasporto molto vivo rispetto all’età; ed anche alle monache e ai dotti che dalle sue parole traevano piacere e profitto.
Ammesso nel seminario locale, si comportò in maniera tale da essere amato da tutti per il suo dolce carattere, come un altro Luigi Gonzaga: superava tutti nelle pratiche di pietà con l’esempio e anche per l’ingegno e il sapere.
Numerose volte anche il vescovo di Molfetta (il famoso Caracciolo, che in seguito resse la diocesi di Napoli) fu lieto di sentirlo predicare; anzi volle che Emanuele, giovane di appena 17 anni, tenesse alla sua presenza, nel seminario, il corso di esercizi spirituali ed assolveva così bene il compito che tutti se ne restavano meravigliati.
Non passò molto tempo che, acceso d’amore per una vita più perfetta, si recò a Napoli per entrare nell’istituto di S. Alfonso. La madre, che non voleva le fosse strappato il figlio in cui aveva riposto ogni speranza, appena seppe della decisione, accorse a distoglierlo dal proposito; ma alla fine fu costretta a cedere alla sua fermezza e a sottomettersi alla volontà di Dio.
Terminato il noviziato e completati gli studi superiori si diede alle missioni e alla direzione delle anime.
Nel tempo in cui la febbre asiatica mieteva migliaia di vittime, egli assisteva gli ammalati e finì col contrarre la stessa malattia. Se non restò ucciso, ne ereditò però una salute cagionevole, finché visse.
Quando le case religiose furono soppresse ad opera delle leggi eversive civili, Ribera restò a Napoli insieme ad un compagno in una casa presa in affitto; qui, fino alla morte, fu instancabile confessore.
Il suo confessionale era come preso d’assalto, tanta era la folla dei penitenti. La sua scienza, che era apprezzata da ogni categoria sociale, era più dono della luce divina che acquisizione di studio umano. Molti uomini, anche autorevoli per dignità o santità, non esitavano a consultarlo e dichiaravano senza mezzi termini che nessuno gli era pari nella direzione delle anime.
Inoltre, ebbe modo di tenere prediche quaresimali e ritiri spirituali, di visitare i monasteri e formare gli aspiranti al sacerdozio. Tutti si chiedevano stupiti come egli, solo e malato, potesse assolvere a tanti compiti e guidare nello stesso tempo persone tanto diverse. Ma Emanuele, divenuto tutto a tutti, poiché bramava solo la salvezza delle anime, trovò la via per fare ciò che altri non osavano neppure tentare.
Alla fine, il giorno 8 novembre 1874, chiuse la sua vita mortale passata nell’innocenza più sublime. Tutti piansero la morte del Padre, chiamato santo e apostolo.
La fama della sua santità continuò ad aumentare giorno dopo giorno.