Le portanti nella perseveranza del bene

Essere Chiesa con gli abbandonati 5/5
5. Le portanti
S. Alfonso consiglia quali mezzi adoperare per perseverare nel bene.

  • 1. La preghiera
  • 2. L’eucaristia
  • 3. La confessione frequente
  • 4. La Madredella misericordia

 
1. La preghiera
Nell’introduzione («necessaria a leggersi») al suo trattato sulla preghiera (Del gran mezzo della preghiera), Alfonso non esita a scrivere: « Io ho date alla luce diverse operette spirituali, ma io stimo di non aver fatto opera più utile di questo libretto, in cui parlo della preghiera, per essere ella un mezzo necessario e sicuro affin di ottenere la salute e tutte le grazie che per quella ci bisognano. Io non ho questa possibilità, ma se potessi vorrei di questo libretto stamparne tante copie, quanti sono tutti i fedeli che vivono sulla terra e dispensarle ad ognuno» (1).
Per il Santo l’urgenza di una tale diffusione deriva dal fatto che «poco attendono i cristiani a praticar questo gran mezzo della loro salute. E quel che più mi affligge, vedo che i predicatori e confessori poco attendono a parlarne ai loro uditori e penitenti; e vedo che anche i libri spirituali, che oggidì corrono per le mani, neppure ne parlano abbastanza» (2). 

E’ una constatazione amara, che con il tempo non ha perso la sua attualità. Nei tanti discorsi che facciamo sulla morale, dimentichiamo troppo spesso che più che un problema di conoscenza è un problema di desiderio, di volontà, di forza. Dimentichiamo che la difficoltà maggiore sta in quel < potere» misterioso, presente nelle strutture e in ognuno di noi, che fa sì che, pur conoscendo il bene, finiamo spesso per orientarci al male: « c’è in me il desiderio del bene, scrive Paolo, ma non la capacità di compierlo» (Rm 7,18).
La preghiera è la possibilità di non arrenderci a questo duro limite, frutto del peccato che domina la storia fin dall’inizio, ma di trasformarlo in speranza: «la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte» (Rm 8,2).
Pregare è aprirsi a questo dono di liberazione che rende possibile il bene. «Se non preghiamo, specifica Alfonso, saremo sempre infedeli a tutti i lumi ricevuti da Dio ed a tutte le promesse da noi fatte. La ragione si è perché a fare attualmente il bene… non bastano i lumi da noi ricevuti e le considerazioni e propositi da noi fatti, ma di più vi bisogna l’ attuale aiuto di Dio; e il Signore questo aiuto attuale… non lo concede se non a chi prega e perseverantemente prega» (3).
Sollecitati da proposte contraddittorie, spesso abilmente camuffate, che a volte arrivano a trasformare in «diritti» gli stessi «delitti» (come sottolinea Giovanni Paolo II nei riguardi delle minacce alla vita), abbiamo bisogno di far emergere in noi i valori veri perché possano guidarci nelle scelte. Pregare è proprio questo coraggio di ascolto più profondo della nostra coscienza, fino a far sì che la sua voce si ponga come eco di quella liberante di Dio: non solo ci dirà ciò che dobbiamo operare, ma ci ricorderà con forza che in Cristo ci è già stata anticipata la forza per operarlo. 

S. Alfonso "«Chi prega certamente si salva, chi non prega certamente si danna»: questa forte affermazione alfonsiana è entrata nel patrimonio comune del popolo di Dio.(INÁCIO M. Medaglia commemorativa del Bicentenario della morte - Madrid - Foto Raccolta Marrazzo)

Quanto sia importante che le nostre scelte scaturiscano da questo dialogare con Dio è la nostra stessa esperienza quotidiana a ‑evidenziarlo con forza. Intorno siamo costantemente sollecitati a attenerci tranquillamente al «così fan tutti»; il denaro facile viene osannato in tutti i toni; veniamo prontamente accusati di appartenere al passato quando tentiamo di far riferimento a valori come il rispetto o l’ accoglienza incondizionata dell’altro… Solo chi prega riesce a sottrarsi al fascino e al ricatto di tutto ciò: sperimenta che la coerenza con il bene è non solo possibile ma anche fonte di serenità, di gioia, di speranza: è beatitudine. La preghiera è la sorgente di quella fortezza e di quella coerenza creativa che sono oggi ancora più indispensabile per la vita morale. 

E’ necessario però che il pregare sia ricco di fiducia e ci accompagni lungo tutta la giornata: occorre, cioè, imparare a «conversare continuamente ed alla familiare con Dio», secondo il titolo di un altro testo di sant’Alfonso sulla preghiera: «Prendete il costume, egli raccomanda, di parlargli da solo a solo, familiarmente e con confidenza ed amore, come ad un vostro amico, il più caro che avete e che più v’ama». Infatti se è un «grande errore» il «comparire sempre alla sua presenza come uno schiavo timido e vergognoso avanti del suo principe tremando di spavento, maggior errore sarà il pensare che il conversare con Dio non sia che di tedio e d’amarezza» (4).
Perché si realizzi questo costante «conversare» con Dio, sono indispensabili dei momenti più intensi e più specifici di preghiera. Per Alfonso essi vanno collocati soprattutto all’inizio e alla fine della giornata. Non dovremmo lasciarci bloccare dalla difficoltà di trovare il tempo. Se siamo convinti della necessità della preghiera, riusciremo ad «inventare» il tempo per essa, recuperando quello che rischiamo di sciupare. Penso, ad esempio, ai momenti di preghiera che potrebbero accompagnare il nostro andare al lavoro al mattino; o al tempo che a sera cerchiamo di “ammazzare” passando da un canale televisivo all’altro. 

«Chi prega certamente si salva, chi non prega certamente si danna» (5): questa forte affermazione alfonsiana è entrata nel patrimonio comune del popolo di Dio. Nel riportarla, il Catechismo della Chiesa Cattolica aggiunge: «Pregare è una necessità vitale. La prova contraria non è meno convincente: se non ci lasciamo guidare dallo Spirito, ricadiamo sotto la schiavitù del peccato. Come può lo Spirito Santo essere la “nostra Vita”, se il rostro cuore è lontano da lui?» (6). 

2. L‘eucaristia
Radice e forza dell’impegno morale del cristiano è la grazia effusa incessantemente dallo Spirito nel suo cuore. E’ questa infatti che specifica la proposta morale della comunità cristiana nei confronti di tutte le altre. Per chi è rinato in Cristo con il battesimo il “tu devi” non ha più il volto austero di un imperativo imposto più o meno aprioristicamente, ma quello, carico di speranza, del “tu puoi perché ti è stato anticipato in dono”: diventa beatitudine. Non perde per questo la sua forza, anzi viene costantemente aperto su orizzonti sempre più impegnativi. Masi carica di fiducia e di gioia: è espressione dell’autenticità e della pienezza che il Cristo ha reso possibili.
Oggi è indispensabile riscoprire con maggiore chiarezza tutto questo. «Dalla liturgia, ricordava il Vaticano II, particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia e si ottiene con la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso cui convengono, come a loro fine, tutte le altre attività della chiesa» (7). Solo così è possibile dare alla nostra vita morale il suo autentico respiro che proietta verso la santità. Anzi sperimenteremo che « da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano» (8). 

In un secolo in cui erano forti le impostazioni morali e pastorali di sapore giansenista, sant’Alfonso si è impegnato a fondo per evidenziare la priorità e la centralità della grazia in tutta la vita morale. Non si stancava perciò di richiamare la necessità di avvicinarsi frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’eucaristia: sta qui la forza che rende possibile a tutti il cammino verso la santità.
Vale la pena di rileggere le forti parole con le quali fino alla fine della sua vita Alfonso metteva in guardia nei riguardi dei seguaci delle tendenze rigoriste, che, partendo da una lettura non evangelica dell’indegnità umana, rendevano problematico l’ accostarsi all’eucaristia: «Povero sangue di Gesù Cristo conculcato e malmenato… Col bacio di pace Giuda tradì Gesù Cristo, e col bacio di pace anche questi tradiscono Gesù Cristo e le anime… So che gli Angeli non ne sono degni, ma Gesù Cristo ne ha degnato l’uomo per sollevarlo dalle sue miserie. Tutto il bene l’ abbiamo da questo Sagramento: mancando questo aiuto, tutto é ruina» (9).
Nel Regolamento di vita di un cristiano raccomanda tra i più importanti «mezzi per conservarsi in grazia di Dio» la partecipazione quotidiana alla celebrazione eucaristica. Con essa «diamo più onore a Dio che non gli danno tutti gli angeli e santi in cielo, perché questo è onore di creature, ma nella messa noi offeriamo a Dio Gesù Cristo, che gli dà un onore infinito» (10).
E insiste, malgrado le critiche ricevute dagli ambienti rigoristi, sulla comunione almeno settimanale: « La comunione poi si chiama pane celeste, perché siccome il pane terreno conserva la vita del corpo, così la comunione conserva la vita dell’anima… Stabilite voi dunque di far la comunione almeno ogni otto giorni, col proposito di non la sciarla mai per qualunque affare di mondo; non vi è affare più importante che la salute eterna. Anzi, tanto più che state nel mondo, avete maggior bisogno d’aiuto, perché avete maggior tentazione» (11). 

S. Alfonso: "Cristo ha reso degno l'uomo sollevandolo dalle sue miserie. Tutto il bene noi l’abbiamo dall'Eucaristia: mancando questo aiuto, tutto va in rovina".

Eucaristia è anche presenza reale e continua di Cristo. Ad Alfonso sta particolarmente a cuore la preghiera personale di adorazione e di ascolto. Le sue Visite al SS. Sacramento ed a Maria SS.ma hanno nutrito generazioni di credenti. Nell’introduzione scrive: «La santa fede insegna, e noi siamo obbligati a crederlo, che nell’ostia consacrata vi sta realmente Gesù Cristo sotto le specie di pane. Ma bisogna che intendiamo insieme ch’egli sta ivi su i nostri altari, ma come in trono d’amore e di misericordia per dispensare grazie e per dimostrare l’ amore che ci porta, col voler dimorare di giorno e di notte così nascosto fra noi… Non vi rincresca dunque, anima divota, di cominciarla ancor voi; e staccandovi dalla conversazione degli uomini, trattenetevi da oggi avanti ogni giorno per qualche tempo, almeno d’una mezzora o di un quarto, in qualche chiesa alla presenza di Gesù Cristo sacramentato» (12).
Aggiunge un tratto significativo della storia della sua vocazione: «Bisogna ch’io palesi in questo libretto, almeno per gratitudine al mio Gesù Sacramentato, questa verità: io per questa divozione di visitare il SS. Sacramento, benché praticata da me con tanta freddezza ed imperfezione, mi trovo fuori del mondo, dove per mia disgrazia son vissuto sino all’età di 26 anni» (13).
Del resto bisogna essere sicuri che «quell’anima, la quale con un poco di raccoglimento si trattiene avanti il SS. Sacramento, Gesù Cristo sa consolarla più che il mondo con tutti i suoi festini e spassi. Oh che bella delizia starsene avanti a un altare con, fede e con un poco di tenera divozione a parlare alla familiare con Gesù Cristo, che ivi sta apposta per sentire ed esaudire chi lo prega!» (14). 

3. La confessione frequente
Se tutti i sacramenti incontrano oggi delle difficoltà, quelle riguardanti la riconciliazione sono particolarmente gravi. Hanno radici diverse: la diffusa crisi del senso del peccato, la tendenza a ridurre al minimo la responsabilità personale nei riguardi del male, l’incomprensione della possibilità della mediazione umana nei riguardi della conversione e del perdono. Alle cause di carattere più generale si aggiungono spesso abitudini poco illuminate o esperienze per nulla felici a causa della mentalità o dello stile dei confessori che rendono ancora più problematico il ricorso a questo sacramento.
Il rischio che corriamo è che, sotto la spinta delle tendenze soggettiviste così forti nel nostro contesto, finiamo per accantonare di fatto il sacramento della riconciliazione. Questo soprattutto quando non si è di fronte a peccati gravi. 

Il vero cristiano però non può prescindere da alcune convinzioni fondamentali. Vengono così sintetizzate nelle premesse al Rito della penitenza: «Come diversa e molteplice è la ferita causata dal peccato nella vita dei singoli e della comunità, così diverso è il rimedio che la penitenza arreca. Coloro che, commettendo un peccato grave, hanno interrotto la comunione d’amore con Dio, con il sacramento della Penitenza riottengono la vita perduta. E coloro che commettono peccati veniali, e fanno così la quotidiana esperienza della loro debolezza, con la ripetuta celebrazione della penitenza riprendono forza e vigore per proseguire il cammino verso la piena libertà dei figli di Dio» (15). 

Nella sua proposta di vita cristiana sant’Alfonso richiama costantemente la necessità di un ricorso frequente e fiducioso al sacramento della penitenza. Nel Regolamento di vita di un cristiano lo sottolinea come uno dei mezzi fondamentali per «conservarsi in grazia di Dio», sottolineando che «colla confessione si mantiene purgata l’anima, e con essa non solo si ottiene la remissione delle colpe, ma ancora l’aiuto maggiore per resistere alle tentazioni» (16).
Perché però possa essere vissuto in queste prospettive occorrono continuità e dialogo sincero: «Tenete il vostro direttore; ed a questo confessatevi sempre e con lui consigliate gli affari di maggior peso, anche temporali; e ubbiditelo in tutto, specialmente se mai siete angustiato dagli scrupoli. Chi ubbidisce al confessore, non ha timore di errare» (17). 

Per S. Alfonso il sacramento della riconciliazione è la celebrazione della Redenzione di Gesù, opera essenzialmente d'amore. Il confessore deve educare all'amore il penitente. «Col predicare si gittano le reti, ma col confessare si tirano al lido e si pigliano i pesci» (Tela nel Museo Alfonsiano di Pagani)

 Fin dai primi anni della sua attività pastorale, Alfonso ha sentito come prioritario il dedicarsi al ministero delle confessioni. A. TANNOIA ricorda: «Non tantosto si vide sedere al Tribunale della Penitenza, che accerchiato ne venne il nuovo Confessore da una moltitudine di Penitenti. Prodigioso era il numero di qualunque ceto e condizione, che da ogni parte ci concorreva tutti accoglieva Alfonso con una carità sopraffina; e siccome la mattina era il primo a presentarsi in Chiesa, così era l’ultimo a levarsi dal Confessionale» (18).
In seguito, a contatto soprattutto con gli abbandonati e i poveri, si radica sempre più nella convinzione che il predicare sostanzioso e semplice e il confessare misericordioso e paziente costituiscono i due cardini, strettamente correlati tra di loro, di tutta l’ azione pastorale: «col predicare si gittano le reti, ma col confessare si tirano al lido e si pigliano i pesci» (19).
II ministero delle confessioni, ripete Alfonso in mille modi ai sacerdoti, è «il più profittevole per le Anime, e `1 meno soggetto a vanità per un Operario Evangelico; perché… per mezzo di questo più che per qualunque altro ministero, le Anime si riconciliano immediatamente con Dio, e loro si applica con soprabbondanza il sangue di Gesù Cristo» (20). 

Perché tutto questo si verifichi è necessario che il sacramento della confessione venga vissuto come momento particolarmente intenso di formazione della coscienza. La sincerità del penitente deve trovare riscontro nella capacità del confessore a fondere il rispetto della gradualità del cammino con lo stimolo e l’incoraggiamento perché ci si proietti sempre in avanti: «Quando vede il confessore che ‘l penitente vive lontano da’ peccati mortali, deve far quanto può per introdurlo nella via della perfezione e del divino amore con rappresentargli il merito che ha Dio, questo infinito amabile, per essere amato e la gratitudine che dobbiamo a Gesù Cristo il quale ci ha amato sino a morire per noi» (21).

Si esige perciò dai confessori un impegno costante di formazione a livello sia teorico che pratico. Essi devono concretizzare fedelmente « la condotta di Gesù Cristo» in maniera che tutti possano fare esperienza dell’amore misericordioso di Dio. A questo fine Alfonso non lesina impegno per aiutarli a maturare un cuore di padre, pronto ad accogliere con amore sincero soprattutto chi ha più bisogno del perdono; a diagnosticare correttamente i mali e quindi ad indicare i rimedi più opportuni; a saper offrire sempre salvificamente la verità.
Contestando perciò le soluzioni di sapore rigorista, che tendevano a rimandare l’assoluzione, non si stancava di ripetere: «Quando il penitente ha conosciuto, e detesta il suo stato, non bisogna lasciarlo colle sole sue forze, nel conflitto colla tentazione: bisogna aiutarlo, ed il maggior aiuto si dà colla grazia dei Sacramenti. Il Sacramento supplisce quello che non può colle sole sue forze» (22). 

4. La Madre della misericordia
«O bella mia speranza, dolce amor mio Maria, tu sei la vita mia, la pace mia sei tu. Quando ti chiamo e penso a te, Maria, mi sento tal gaudio e tal contento che mi rapisce il cor.. In questo mar del mondo, tu sei l’amica stella che puoi la navicella dell’alma mia salvar» (23). 

Sono alcuni dei versi con i quali sant’Alfonso ha cantato il suo amore a Maria. Risuonano ancora oggi nelle nostre chiese. Veramente il fondatore dei Redentoristi non ha risparmiato fatica perchéla Madredella misericordia fosse conosciuta, amata, venerata da tutti. Riteneva infatti che il sincero rapporto filiale con lei è indispensabile a chiunque vuol camminare sulla strada del bene.
Chiedeva perciò a tutti i predicatori di non far mai mancare l’annunzio delle «glorie» della Madre della misericordia: «Bisogna spesso insinuare la divozione verso la divina Madre. Questa divozione non è una di quelle che si chiamano di semplice supererogazione, secondo parlano molti santi e tutti i maestri di spirito; ella si reputa necessaria per la salute eterna, non di necessità assoluta, ma almeno di necessità morale: onde si fa mal prognostico di taluno che vive abitualmente alieno da tal divozione. Ciò basterebbe a persuadercelo solamente il sapere che la santa chiesa ci fa chiamare la beata Vergine la nostra speranza» (24). 

Alfonso riteneva importante che ogni giorno ci si impegnasse per un momento personale di preghiera alla Vergine, unito all’adorazione eucaristica: «Procurate d’unir sempre ogni giorno alla Visita al SS. Sacramentola Visita a Maria SS. in qualche chiesa o almeno in qualche divota sua immagine in casa. E se la praticherete con affetto e confidenza, sperate di ricevere gran cose da questa gratissima Signora, la quale ha per uso, dice S. Andrea Cretense, di rendere gran doni a chi l’offerisce qualche minimo ossequio» (25).
Ugualmente a cuore stava ad Alfonso la recita quotidiana del rosario. Significativo un episodio della tarda vecchiaia. A chi lo assisteva domandava spesso se avesse già detto il rosario. Fratel Romito un giorno lo rassicurò con una punta di impazienza. « Il vegliardo “con tutto il contegno” gli rispose: “Quando sto dubbioso sopra il rosario, non mi contristate, perché la salute dell’anima mia e la mia predestinazione mi preme sopra tutto: e quando sto dubbioso del rosario, è segno, che sto dubbioso della salute” » (26). 

Maria, in quanto madre di misericordia, è per Alfonso la parola forte, chiara, comprensibile anche per i più umili, con cui Dio ci ricorda incessantemente il suo amore misericordioso. «In questo mio libretto ‑ scrive Alfonso nella premessa a Le Glorie di Maria, la principale sua opera sulla Vergine ‑ lasciando agli altri autori il descrivere gli altri pregi di Maria, ho preso per lo più a parlare della sua gran pietà e della sua potente intercessione». E questo perché in lei il Cristo ha collocato « la speranza e `1 rifugio di tutti i redenti» (27).
Maria non solo si pone come modello per ogni credente, ma ha la capacità di aprire al desiderio del bene e di sostenere fiduciosamente nel cammino necessario per realizzarlo: «Quando Maria vede a’ suoi piedi un peccatore che viene a cercarle misericordia, non guarda ella i peccati che porta, ma guarda l’intenzione con la quale viene; se viene con buona intenzione, avesse quegli commessi tutti i peccati del mondo, ella l’ abbraccia, e non isdegna l’ amantissima madre di sanargli tutte le piaghe che porta nell’anima; poich’ ella non solamente è da noi chiamata la madre della misericordia, ma veramente è tale, e tale si fa conoscere con l’amore e tenerezza con cui ci sovviene» (28).
La certezza di questa misericordia (29), che guarda l’ intenzione non già il male commesso, rende possibile a tutti cominciando da coloro che più sono segnati dal peccato ‑ il cammino di conversione e di crescita nel bene, fino alla santità. E’ una «verità di gran consolazione per le anime teneramente affezionate a Maria SS., e per li poveri peccatori che vogliono convertirsi» (30), da cui derivano necessariamente il desiderio e l’impegno di una vita nuova: chi ricorrerà a Maria, benché peccatore, « se con perseveranza e volontà di emenda si raccomanderà a questa buona Madre, sarà sua cura d’impetrargli lume per uscire dal suo cattivo stato, dolore dei suoi peccati, perseveranza nel bene e finalmente la buona morte» (31). 

S. Alfonso: "Quando Maria vede ai suoi piedi un peccatore che viene a cercarle misericordia, non guarda ella i peccati che porta, ma guarda l'intenzione con la quale viene". (Foto Raccolta Marrazzo).

Di qui la costante raccomandazione ad aprire il cuore alla fiducia: «Non temiamo che Maria non ci ascolti, quando noi la preghiamo. Ella gode d’esser così potente appresso Dio per poterci ottenere tutte le grazie che desideriamo. Basta cercar le grazie a Maria per averle. Se noi ne siamo indegni, ella ce ne fa degni colla sua onnipotente intercessione; ed ella molto desidera che ricorriamo a lei per poterci salvare. E qual peccatore mai s’è perduto, che con confidenza e perseveranza è ricorso a Maria, ch’è il rifugio de’ peccatori! Si perde chi non ricorre a Maria» (32).
Queste convinzioni determinavano in Alfonso quell’impegno costante per promuovere in tutti un amore sincero e caldo a Maria, che TANNOIA sintetizza in questi termini: «I Novatori, diceva Alfonso, spacciano come ingiuriosa a Dio la divozione verso Maria Santissima, negandone la sua possanza, ed impugnandone l’intercessione; ma spetta a noi far vedere per profitto de’ Popoli, quanto ella può presso Dio, e quanto sia grato a Dio vederla onorata» (33). Un impegno da cui chiunque ha a cuore che ogni battezzato sia coerente con la sua chiamata alla santità non può esimersi ancora oggi.
Come madre di tutta la chiesa, ci spinge a una proposta e a una testimonianza che siano significative anche per coloro che ancora non conoscono il vangelo o non lo considerano più come la Parola che dà senso vero alla vita e alla storia. Potremo allora come Alfonso al suo tempo continuare a essere chiesa con gli abbandonati.

 

——–l
(1) Parte 1, in Opere ascetiche, Il, Roma 1962, p. 7. Nella < dedica a Gesù e Maria» che precede l’introduzione, consacrando il libro al Cristo, lo prega per i lettori: «fate che tutti quelli, che l’avranno nelle mani, s’invoglino a sempre pregare, e si adoperino ad infiammare anche gli altri, acciocché s’ avvagliano di questo gran mezzo della loro salute» (p. 5).
(2) Ivi
(3)  Ivi, p. 8.
(4)  Modo di conversare continuamente ed alla familiare con Dio, n. 6, in Opere ascetiche, 1, Roma 1933, p. 316.
(5) Del gran mezzo…, parte 1, cap. I, p. 32. 6 N. 2744.
(7) Sacrosanctum Concilium, n. 10.
(8) Lumen gentium, n. 40.
(9) A. TANNOIA, Della vita …. IDI, Napoli 1802, 152‑153.
(10) Cap. I, p. 279.l
(11) Ivi, p. 278‑279.
(12) Opere ascetiche, IV Roma 1939, p. 291 e295.
(13) Ivi, p. 296.
(14) Ivi, p. 297. In una delle sue canzoncine dedicate all’eucaristia, sant’ Alfonso poteva perciò cantare: < Fiori, felici voi, che notte e giorno / vicini al mio Gesù sempre ne state, / né vi partite mai, finché d’intorno / tutta la vita alfin non vi lasciate: / Oh! potess’io far sempre il mio soggiorno / in questo luogo bel, dove posate! / Ahi! qual sorte saria la mia, qual vanto, / finir la vita alla mia Vita accanto!» (S. BRUCNANO [a cura], Le canzoncine spirituali di Sant’Adfonso, Materdomini 1982, p. 30).
(15) N. 7.
(16) Cap. I, p. 278.
(17) Ivi.
(18) Op. cit., I, p. 38‑39.
(1
9) Selva di materie predicabili ed istruttive, parte I, cap IX, § 4, n. 30, in Opere complete, III, Torino 1847, p. 77
(20)
A. TANNOIA, Op. cit., I, p. 39.
(21) Pratica del confessore …. Cap. IX, n. 114, p. 816‑817.
(22) A. TANNOIA, op. cit., III, p. 153.
(23) S. BRUGRANO (a cura), op. cit., p. 72.
(24) Foglietto in cui brevemente si tratta…, punto II, n. 1, p. 289. l
(25) Visite…. Introduzione, p. 300.
(26) TH. REY‑MERMET, Il Santo del Secolo dei Lumi…, p. 819‑820.l
(27) Opere ascetiche, IV, p. 19.
(28) Ivi, cap. I, § 4, p. 67.
(29)Questa certezza è stata da Alfonso tradotta anche in versi perché si radicasse maggiormente, con l’aiuto del canto, nella memoria del popolo. Eccone alcuni tra i tanti: «Dal tuo celeste trono, / Maria, rivolgi a noi / pietosa gli occhi tuoi / per una volta sol. / E se a pietade il core / poi muover non ti senti, / allor noi siam contenti / che non ci guardi più… / Per tante colpe, è vero, / degni non siam già noi / d’esser più figli tuoi, / ma tu sei madre ancor. /Apri quel tuo bel manto, / in cui senza timore, / starem, se con amore, / madre, ci accogli tu» (S. BRUGNANO [a cura], op. cit., p. 60).
(30) Ivi, Avvertimento al lettore, p. 12‑13.
(31) vi, cap. VIII, § 1, p. 259.
(
32) Via della salute…, parte 1, p. 27‑28.
(33) Op. cit.,1, p. 316. Nella «supplica», che apreLe glorie di Maria, dopo essersi rivolto al Cristo «sapendo il piacere che vi dà chi cerca di glorificare la vostra santissima Madre», prega Maria con queste parole: «Voi ben sapete ch’io dopo Gesù in voi ho posto tutta la speranza della mia eterna salute; poiché tutto il mio bene, la mia conversione, la mia vocazione a lasciare il mondo, e quante altre grazie ho ricevute da Dio, tutte le riconosco donatemi per mezzo vostro. Voi già sapete ch’io per vedervi amata da tutti come voi meritate, e per rendervi ancora qualche segno di gratitudine a tanti benefizi che m’avete fatti, ho cercato sempre di predicarvi da per tutto, in pubblico ed in privato, con insinuare a tutti la vostra dolce e salutevole divozione. lo spero di seguire a farlo sino all’ultimo fiato di vita che mi resta; ma vedo che per gli anni avanzati e per la mia logora sanità già si va accostando il fine del mio pellegrinaggio e la mia entrata all’eternità; onde ho pensato prima di morire di lasciare al mondo questo mio libro, il quale seguiti per me a predicarvi e ad animare anche gli altri a pubblicare le vostre glorie e la grande pietà che voi usate co’ vostri devoti».

Ricerca fotografica: Salvatore Brugnano.