Una morale dell’amore

Essere Chiesa con gli abbandonati 2/5
2. Una morale dell’amore
La morale di S. Alfonso tende a costruire un rapporto d’amore.

  1. La grandezza e la miseria dell’uomo
  2. Il Redentore
  3. La pratica dell’amore
  4. La memoria grata 

1. La grandezza e la miseria dell’uomo
Fin dagli anni della giovinezza, la vita di sant’Alfonso è segnata dal contatto con gli emarginati: i condannati ai remi delle galere di cui il padre è capitano; i prigionieri razziati sulle coste africane o asiatiche, che, anche in casa Liguori, vengono utilizzati come servi; i poveri malati dei giacigli dell’ospedale degli Incurabili che ben presto Alfonso si fa un dovere di visitare ed assistere…
Diventato sacerdote nel 1726, sceglie come campo privilegiato di azione i quartieri napoletani più poveri: «Per lo più, scrive il primo biografe A. TANNOIA, operava egli nel Mercato e nel Lavinaro, ove vi è la feccia del Popolo Napoletano; anzi godeva vedersi circondato dalla gente più vile, come sono i Lazzari, così detti, e da altri d’infimo mestiere» (1).
Tutto questo diventa condivisione senza riserve quando Alfonso decide la fondazione della congregazione redentorista: «Accertato della volontà di Dio, scrive ancora il Tannoia, si animò, e prese coraggio; e facendo a Gesù Cristo un sacrificio totale della Città di Napoli, si offerse menar i suoi giorni dentro proquoi, e tuguri, e morire in quelli attomeato da’ Villani, e da’ Pastori» (2). 

S. Alfonso fin da giovane avvocato ha incontrato le povertà dell'uomo: egli visitava regolarmente gli ammalati dell'opedale degli Incurabili a Napoli (Disegno di Vittoria Romeo).

E’ in questo contatto costante con la miseria dell’uomo che Alfonso elabora la sua teologia morale. La lettura che ne fa non è mai disperata, ma sempre carica della luce che viene dalla fede. Sintetizza nella Condotta ammirabile della divina Provvidenza in salvare l’uomo per mezzo di Gesù Cristo: l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio in una duplice dimensione, < una naturale e 1′ altra soprannaturale. La naturale consiste nel dono fatto da Dio all’anima umana dell’essere spirituale… L’ altra immagine è sovrannaturale, che consiste nella grazia santificante per cui gli uomini si fanno partecipi della divina natura, come scrisse S. Pietro (2Pt 1,4). Ma questa immagine si perde e si cancella quando l’uomo pecca; benché il Signore poi per sua misericordia gliela restituisca quando egli con pentimento si dispone a ricuperarla» (3).
La vita morale è costruirsi come immagine, sapendo bene che solo in questa prospettiva sta la felicità autentica. Scrive ancora Alfonso: Dio cha creato gli uomini per renderli partecipi della medesima sua felicità e consorti della sua natura». Non è possibile perciò diffidare o chiudersi alle parole sul bene che in Cristo egli ci ha comunicato: «ha voluto egli far gloria sua la nostra felicità». La miseria dell’uomo, per quanto grande, non lo svuota della sua fondamentale dignità, non gli impedisce mai di poter riprendere il cammino del bene  (4). 

La proposta morale di Alfonso ha questo significato fondamentale: far sperimentare a tutti, anche agli emarginati e agli ultimi, che nel Cristo è loro sempre aperta la possibilità del cammino nel bene che porta alla felicità vera. Nella Pratica di amar Gesù Cristo non esita a scrivere: « E’ un grande errore quel che dicono alcuni: Dio non vuol tutti santi. No, dice S. Paolo, “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Ts 4,3). Iddio vuol tutti santi, ed ognuno nello stato suo, il religioso da religioso, il secolare da secolare, il sacerdote da sacerdote, il maritato da maritato, il mercadante da mercadante, il soldato da soldato, e così parlando di ogni altro stato» (5).
Letta nella sua interezza, la proposta morale alfonsiana è invito a prendere fiduciosamente il cammino del bene. Non importa la situazione in cui attualmente ci troviamo. Ciò che conta è la volontà di camminare senza perdere mai di vista la meta. E’ certamente necessario anche precisare con cura i passi che porterebbero fuori del cammino. Nella Theologia moralis Alfonso si impegna a farlo con cura soprattutto per aiutare i confessori nel loro ministero. Ma quello che in ultima analisi interessa maggiormente è che si resti in cammino. 

Di qui il deciso rigetto delle posizioni rigoristiche, che finiscono con lo scoraggiare e il bloccare, perché non tengono conto della fragilità che pesa sulla nostra vita a causa del peccato. Coloro che le seguono sono come medici che nelle terapie non si preoccupano di proporzionare alle possibilità effettive di sopportazione del malato: benché la medicina sia giusta, essendo sbagliato il dosaggio, non aiuta e spesso porta alla morte. II vero medico invece parte sempre dallo stato reale del malato.
Il peccato è come una malattia che indebolisce, sfigura, consuma. Non distrugge però del tutto la dignità della persona: « La sacra scrittura insegna che 1′ uomo è stato creato “a immagine di Dio”, capace di conoscere e di amare il proprio Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio» (6).
Alfonso non si stanca di sottolineare che perfino in chi è più segnato dal peccato rimane sempre una nostalgia, un’invocazione, una tacita ricerca per il bene e per la verità. Occorre ridestarle, impegnarsi a far sì che diventino decisione e impegno sincero di cammino. Ogni passo aprirà poi su ulteriori orizzonti. Le norme morali vanno proposte come aiuto nel discernimento esigito da questo cammino. Non devono mai fargli perdere il carattere di tensione verso la felicità vera che gli è essenziale.
Perciò, conclude Alfonso, «niente va imposto agli uomini sotto colpa grave, a meno che non lo suggerisca un’evidente ragione» (7). Più che sulle imposizioni, bisogna puntare sulla capacità sanante e rinnovatrice della grazia, sulla forza attrattiva del bene, sul desiderio di realizzazione e di pienezza della persona. Allora diventa possibile la guarigione e il cammino fino alla santità. Non bisogna del resto mai dimenticare che « da Dio è stato considerato prima l’uomo in quanto libero; e poi è stata considerata la legge» (8).
La proposta alfonsiana si svela così di forte attualità: è una sfida ad approfondire la dignità e la libertà di ogni persona per far emergere ché esse restano sempre in qualche maniera tendenza e ricerca di Dio, malgrado tutte le contraddizioni e le negazioni accumulate lungo la storia. 

2. Il Redentore
«In realtà, afferma il Vaticano II, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (9).
Questo svelamento dell’uomo operato da Cristo riguarda innanzitutto l’orizzonte ultimo e il senso fondamentale della vita di ognuno di noi e della storia dell’intera umanità: ci scopriamo inseriti in una prospettiva di speranza che spinge a farci carico degli interrogativi e delle sfide che incontriamo sul nostro cammino. Riguarda però anche la ricerca sul bene e sul male alla quale la libertà e l’intelligenza dell’uomo non possono rinunziare: i tanti sforzi dell’umanità trovano in Cristo ulteriore profondità e stimoli.
Scrive Giovanni Paolo II: «Occorre che l’uomo di oggi si volga nuovamente verso Cristo per avere da lui la risposta su ciò che è bene e ciò che è male» (10). Sottolinea però che la domanda sul bene e sul male «prima che una domanda sulle regole da osservare, è una domanda di pienezza di significato per la vita». E questa infatti «l’aspirazione che sta al cuore di ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta ricerca e l’intimo impulso che muove la libertà… Proprio in questa prospettiva il Concilio Vaticano II ha invitato a perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione illustri l’altissima vocazione che i fedeli hanno ricevuto in Cristo, unica risposta che appaga pienamente il desiderio del cuore umano» (11).
Quando la morale viene ridotta ad un arido elenco di norme riguardanti singoli atti o singoli comportamenti, perde molto del suo significato più autentico e difficilmente riesce a restare fedele alla sua ministerialità nei riguardi della dignità e della fragilità dell’uomo. Diventa allora problematico anche il suo rapportarsi a Cristo come fondamento e compimento. C’è infatti uno stretto legame tra la promozione della dignità della persona e l’apertura al Cristo. 

Il Redentore nella tela a soffito del Museo di Pagani (Foto Del Mauro nella Raccolta Marrazzo).

Al centro della proposta morale di Sant’Alfonso sta il Cristo e la sua «copiosa redemptio» (redenzione sovrabbondante), come si legge nello stemma dell’istituto che egli fonda per 1′ evangelizzazione degli abbandonati.
La sua sintesi morale per tutti porta un titolo molto significativo: Pratica di amar Gesù Cristo. Si apre con queste affermazioni: «Tutta la santità e la perfezione di un’anima consiste nell’amare Gesù Cristo nostro Dio, nostro sommo bene e nostro Salvatore. Chi ama me, disse Gesù medesimo, sarà amato dall’eterno mio Padre» (12).
Il progetto che egli traccia per la missione popolare tende a portare tutti ai piedi del Crocifisso, perché attingano da lui criteri e forza di vita nuova. «Terminate le prediche delle Massime, scrive il suo primo biografo A. Tannoia, eravi per tre o quattro giorni un pio esercizio meditativo, ch’egli chiamava Vita Divota… per mezz’ora facevasi praticamente meditare la dolorosa passione di Gesù Cristo… Volendo commuovere sensibilmente il popolo, dava a vedere nell’ultima di queste meditazioni una gran tela, ov’ era dipinto Gesù morto in croce, delineata da esso medesimo, ma tutto sangue e lacero nelle membra. Questa meditazione, che di per sé attirava le lagrime ad ognuno, operava il maggior frutto nella missione» (13). 

Si tratta di prospettive fondamentali per tutta la vita cristiana: i progetti e le decisioni devono scaturire dalla «sapienza» del Crocifisso, se vogliono essere validi. E spesso la penna di Alfonso traccia righe come queste: « L’ Apostolo dicea ch’egli non volea saper altro che Gesù e Gesù Crocifisso, cioè l’amore ch’esso ci ha dimostrato sulla croce… Ed in verità, da quale libro noi meglio possiamo apprendere la scienza dei santi, ch’è la scienza di amare Dio che dà Gesù Crocifisso… O gran punto da considerarsi in tutta la vita e per tutta l’eternità: un Dio morto per nostro amore! un Dio morto per nostro amore! O gran punto !» (14). 

La proposta morale per Alfonso deve essere fedele alla redenzione sovrabbondante del Cristo. E’ necessario perciò che si ponga in chiara sintonia con il «piegarsi» misericordioso di Dio verso l’uomo: per liberarlo, per additargli la strada della pienezza, per metterlo in cammino, sostenendolo con la sua grazia.
Significative le parole, riportate dal Tannoia, con cui viene stigmatizzata la pastorale eucaristica di sapore giansenista, preoccupata talmente dell’indegnità dell’uomo da precludere e scoraggiare l’avvicinarsi alla comunione: «Povero sangue di Gesù Cristo conculcato e malmenato… Col bacio di pace Giuda tradì Gesù Cristo, e col bacio di pace anche questi tradiscono Gesù Cristo e le anime… So che gli Angeli non ne sono degni, ma Gesù Cristo ne ha degnato l’uomo per sollevarlo dalle sue miserie. Tutto il bene 1′ abbiamo da questo Sacramento: mancando questo aiuto, tutto è ruina»  (15).
Non si tratta di lassismo o di dimenticanza della « grandezza» di Dio. E’ invece il tentativo di restare fedeli al volto autentico di Dio come ci è rivelato nel Cristo. Nella proposta morale occorre sempre «continuare l’esempio» del Redentore che si abbassa fino all’ultimo di noi per mettere tutti in cammino verso la perfezione del Padre: «Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente sino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,6‑8). 

3. La pratica dell’amore
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nella premessa alla terza parte (quella riguardante la morale) afferma: «Nella catechesi è importante mettere in luce con estrema chiarezza la gioia e le esigenze della via di Cristo». Perciò la catechesi sulla «vita nuova» (Rm 6,4) dovrà prevedere «una catechesi del duplice comandamento della carità sviluppato nel Decalogo», inserita però in un annunzio più ampio e articolato: in una catechesi cioè dello Spirito Santo, della grazia, delle beatitudini, del peccato e del perdono, delle virtù umane e cristiane, della chiesa (16).
Solo se collocato in questo contesto il discorso sulle norme e sui doveri acquista l’autentico respiro cristiano. Il Cristo infatti al dottore che gli ricorda la sintesi di tutta la legge antica: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso», risponde senza esitare: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai» (Le 10,27‑27). Poi, prima della dolorosa passione, puntualizza per i discepoli: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato» (Gv 15,12). 

S. Alfonso indica con sicurezza la via dell'amore. (Statua in bronzo dello scultore GERMANO A. -Foto Antonio Marrazzo)

La vita cristiana è tutta qui: raggiunti fin nelle profondità del nostro essere dall’Amore che il Padre ci dona in Cristo, ci lasciamo rinnovare e trasformare in maniera che sia lo stesso amore a ispirare e a dettare i nostri desideri e le nostre scelte. Diventiamo così «segno» dell’amore di Dio per i fratelli, perché amiamo «non a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1Gv 3,18).
Agostino rimandava a tutto questo, quando ripeteva: «Ama e fa quel che vuoi». L’amore, quando è vissuto in tutta la sua verità e non viene banalizzato, è guida sicura. Lo sforzo dell’etica di precisare le norme per i diversi ambiti della vita è necessario, però non deve mai far perdere di vista che esse sono concretizzazione dell’amore e vogliono aiutare a restare fedeli e a crescere nell’autentico amore. 

Il primo impatto con le opere strettamente morali di Sant’Alfonso può lasciare interdetti. Ci si trova dinanzi a un susseguirsi di casi, di precisazioni, di sentenze dei più diversi autori… Nasce spontanea la domanda: tutto questo non finisce per schiacciare 1′ amore?
Quando però si ha presente l’insieme degli scritti alfonsiani (17), il disagio scompare e la risposta si delinea subito: la vita cristiana è «pratica di amar Gesù Cristo». E’ questo il titolo di quella sintesi di teologia morale per laici e sacerdoti che B. HARING valuta «il migliore dei suoi lavori» (18).
Le precisazioni casistiche per Alfonso sono necessarie perché i principi da soli non bastano a risolvere la complessità delle situazioni: «Ogni legge, scrive nella Pratica del confessore, si rende difficilissima per ragione delle molte circostanze de’ casi, dalle quali dipende il doversi mutare le risoluzioni… Chi niega che tutti i casi si hanno da risolvere coi principi? Ma qui sta la difficoltà: in applicare ai casi particolari i principi che loro convengono» (19). Tutto questo però non deve mai sostituirsi alla ricerca personale della coscienza e tanto meno far perdere di vista che si tratta sempre di «pratica» dell’amore.
A questo fine in un contesto in cui gli operatori pastorali battono quasi esclusivamente il tasto del timore, Alfonso non si stanca di ripetere che la perseveranza nel bene è possibile solo quando ci si apre all’amore. Di qui la sua calda raccomandazione ai predicatori: «Chi nega che le prediche di terrore giovano, anzi sono necessarie per isvegliare quei peccatori che dormono nel peccato; ma bisogna persuadersi che le conversioni fatte per lo solo timore de’ castighi divini son di poca durata… se non entra nel cuore il santo amore di Dio, difficilmente persevererà… Quindi 1’impegno principale del predicatore nella missione ha da esser questo, di lasciare in ogni predica che fa i suoi uditori infiammati del santo amore» (20). Allo stesso modo ricorda ai confessori che il primo «rimedio da insinuare» a tutti i penitenti è «1’amore a Dio, giacché Dio a questo sol fine ci ha creati; e con ciò diasi ad intendere la pace che gode chi sta in grazia di Dio e 1′ inferno anticipato che prova chi vive senza Dio, colla ruina anche temporale che porta con sé il peccato» (21). 

Concretamente la «pratica» di questo amore dovrà avere un imprescindibile punto di riferimento: il sì pronto e generoso al progetto salvifico di Dio, secondo la chiara parola del Cristo: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Scrive Alfonso in un opuscolo il cui titolo Uniformità alla volontà di Dio è già tutto un programma: «Tutta la nostra perfezione consiste nell’amare il nostro amabilissimo Dio… Ma tutta poi la perfezione dell’amore a Dio consiste nell’unire la nostra alla sua santissima volontà… Se dunque vogliamo compiacere appieno il cuore di Dio, procuriamo in tutto di conformarci a quanto Dio dispone. La conformità importa che noi congiungiamo la nostra volontà alla volontà di Dio; ma l’uniformità importa di più che noi della volontà divina e della nostra ne facciamo una sola, sì che non vogliamo altro se non quello che vuole Dio, e la sola volontà di Dio sia la nostra» (22). 

4. La memoria grata
Nella visione biblica la vita morale è risposta all’iniziativa di amore di Dio nei riguardi dell’uomo. Alla radice dell’impegno per il bene c’è sempre la memoria grata di ciò che Dio ha operato. In Israele ogni padre dovrà trasmettere ai propri figli: «Eravamo schiavi del Faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili… Ci fece uscire di là per condurci nel paese che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore Dio nostro» (Dt 6,21‑25).
La memoria costantemente rinnovata di quanto Jahve ha fatto e promesso permette ad Israele non solo di mantenersi fedele alla legge ma soprattutto di viverla nel suo autentico significato. Basta ricordare la premessa al Decalogo: « Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù…» (Es 20,2). Ubbidire ai comandamenti è cammino che permette di restare e crescere ulteriormente nella libertà.
La centralità della memoria grata è confermata nel Nuovo Testamento. Il suo contenuto è però l’amore che emerge nella croce del Cristo. L’ apostolo Paolo non esita a scrivere ai cristiani di Corinto: «L’amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5,14‑15). Precedentemente lo stesso apostolo aveva affermato: «Ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,2). 

La memoria grata si nutre e si manifesta nella preghiera costante. S. Alfonso è stato chiamato il Dottore della preghiera.

La proposta morale di Sant’Alfonso è eco fedele di queste prospettive: la vita morale, essendo risposta all’amore che nel Cristo il Padre ci dona, si radica nella memoria di tale amore. Occorre perciò rinnovarla e approfondirla incessantemente.
Le pagine iniziali della Pratica di amare Gesù Cristo tracciano un itinerario significativo: «Vedendo Iddio che gli uomini si fan tirare da’ benefici, volle, per mezzo de’ suoi doni, cattivarli al suo amore… Dopo averlo dotato di anima colle potenze a sua immagine, di memoria, intelletto e volontà, e di corpo fornito de’ sensi, ha creato per lui il cielo e la terra e tante altre cose, tutte per amore dell’uomo: i cieli, le stelle, i pianeti, i mari, i fiumi, i fonti, i monti, le pianure, i metalli, i frutti, e tante specie di bruti: tutte queste creature acciocché servano all’uomo, e 1′ uomo l’ami per gratitudine di tanti doni» (23).
La memoria grata non deve fermarsi qui: «Non è stato contento Iddio di donarci tutte queste belle creature. Egli, per cattivarsi tutto il nostro amore, è giunto a donarci tutto se stesso» (24). Nella croce del Cristo questo dono svela tutta la sua radicalità: « Ci amò e, perché ci amava, si diede in mano de’ dolori, dell’ ignominie e della morte più penosa che abbia patito alcun uomo sovra la terra» (25).
La memoria di questo amore è la radice della vita cristiana: «Non tanto ciò che ha patito Gesù Cristo, quanto l’amore che ci ha dimostrato nel patire per noi, ci obbliga e quasi ci costringe ad amarlo» (26). Per questo il Crocifisso è il «libro» fondamentale dal quale apprendere «la scienza dei santi, ch’è la scienza di amare Dio»  (27).
La «memoria continua de’ divini benefici generali e particolari» che costituisce il primo «mezzo» per sviluppare un’autentica vita cristiana avrà nel «meditare la santa Passione» un elemento imprescindibile: «E’ la divozione di tutte le divozioni la più utile, la più tenera, la più cara a Dio, quella che più consola i peccatori, quella che più infiamma l’anime amanti» (28).
Sulla meditazione o orazione mentale Alfonso ritorna incessantemente, sottolineandone la necessità per tutti: « Senza orazione mentale ‑ scrive ad esempio nel 1766 nel Regolamento di vita d’un cristiano ‑ non ci è luce, si cammina all’oscuro, e camminando all’oscuro, non si vedono i pericoli, non si pigliano i mezzi, non si prega Dio di aiutarci, e così ci perdiamo. Senza orazione non ci è luce, e non ci è forza di camminare avanti nella via di Dio; perché senza orazione non si prega Dio a darci il suo aiuto, e non pregando, certamente si cade… chi ogni giorno fa la sua meditazione, difficilmente cadrà in peccato; e se mai per disgrazia cada in qualche occasione, seguitando l’orazione subito ritornerà a Dio»  (29).
Secondo il progetto di Alfonso, la missione popolare doveva tendere a far maturare in ogni battezzato la consapevolezza di questa necessità. La pietà popolare riceveva così profondità e consistenza: «Stabiliva, scrive TANNOIA, in Chiesa ogni mattina la meditazione in comune de’ novissimi, maggiormente sulla Passione di Gesù Cristo… Insinuava, non potendosi andare in Chiesa, farla in casa. Con questo mezzo si vedevano in ogni luogo anime elevate a somma perfezione» (30).  

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(1) Della Vita ed Istituto delVenerabile Servo di DioAlfonso M.a Liguori, vol. 1, Napoli 1798, p. 40.
(2) Ivi, p. 66.
(3) Parte 1, cap. 1, n. 14, iìn Opere complete, VIII, Torino 1857, p. 791‑792.
(4) Ivi, p. 787‑788. Sono le affermazioni di “Ristretto dell’Opera”, che Alfonso mette all’inizio aggiungendo: < necessario a leggersi per intendere tutto quel che nella medesima si contiene».
(5) Cap. VIII, n. 10, inOpere ascetiche, I, Roma 1933, p. 79.
(6) Gaudium et spes, n. 12.
(7) Theologia moralis, Lib. III, tract. V, cap. II, dub. 1, n. 547, ed. GAUDÉ, 11, Roma 1907, p. 53.
(8) Ivi, lib. I, tract. I, cap. III, cor. II, n. 75, ed. GAUDÉ, I, p. 30.
(9) Gaudium et spes, n. 22.
(10) Veritatis spiendor, n. 8.
(11) Ivi, n. 7.
(12) Cap. 1, n. 1, p. 1.
(13) Op. cit., I, p. 311‑312.
(14) L’amore delle anime, n. 8, in Opere ascetiche, V, Roma 1934, p. 15.
(15) Op. cit., III, Napoli 1802, p. 152‑153.
(16) N. 1697. E’ opportuno rileggere per intero questo importante passo: « Nella catechesi è importante mettere in luce con estrema chiarezza la gioia e le esigenze della via di Cristo. La catechesi della «vita nuova» (Rm 6,4) in lui sarà:
‑  una catechesi dello Spirito Santo, Maestro interiore della vita secondo Cristo, dolce ospite e amico che ispira, conduce, corregge e fortifica questa vita;
‑  una catechesi della grazia, poiché è per grazia che siamo salvati ed è ancora per grazia che le nostre opere possono portare frutto per la vita eterna;
‑    una catechesi delle beatitudini; infatti la via di Cristo è riassunta nelle beatitudini, il solo cammino verso la felicità eterna, cui aspira il cuore dell’uomo;
‑  una catechesi del peccato e del perdono, poiché, se non si riconosce peccatore, l’uomo non può conoscere la verità su se stesso, condizione del retto agire, e senza l’offerta del perdono non potrebbe sopportare tale verità;
‑  una catechesi delle virtù umane, che conduce a cogliere la bellezza e l’attrattiva delle rette disposizioni per il bene;
‑  una catechesi delle virtù cristiane della fede, della speranza e della carità, che si ispira al sublime esempio dei santi;
‑  una catechesi del duplice comandamento della carità sviluppato nel Decalogo;
‑  una catechesi ecclesiale, perché è nei molteplici scambi dei “beni abituali nella comunione dei santi” che la vita cristiana può crescere, svilupparsi e comunicarsi».
(17) Cf. al riguardo il tentativo sintetico che ho tracciato in La teologia morale nell’insieme del pensiero alfonsiano, in Studia Moralia 25 (1987) p. 79‑103.
(18) Liberi e fedeli in Cristo, 1, Roma 31987, p. 69.
(19) Op. cit., cap. 1, n. 17, p. 789.
(20) Foglietto in cui brevemente si tratta di cinque punti su de’ quali nelle missioni deve il predicatore avvertire il popolo di più cose necessarie al comun profitto, punto I, n. 1, in Opere complete, III, Torino 1847, p. 288.
(21) Cap. I, n. 15, p. 788.
(22)Opere ascetiche, I, p. 283 e 286.
(23) Cap. 1, n. 3, p. 2.
(24) Ivi, n. 5, p. 4.
(25) Ivi, n. 7, p. 5.
(26) Ivi, n. 8, p. 5.
(27) L’amore delle anime…, n. 8, p. 15.
(28) Pratica di amar…, cap. 1, n. 19‑21, p. 10‑12.
(29) Cap. 1, inOpere ascetiche, X, Roma 1968, p. 177.
(30) Op. cit., 1, 314‑315. 

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