98. S. Alfonso. La misericordia sopporta le colpe dei figli.
Incontri di S. Alfonso con la Misericordia di Dio
(seguendo le sue biografie)
98. S. Alfonso. La misericordia sopporta le colpe dei figli.
♦ Gravi affronti ebbe a soffrire Alfonso dagli ingiusti Pretendenti dei Benefici e grande fu la sua equità e somma sofferenza con gli stessi.
- Tale e tanta imparzialità in Alfonso e giustizia così esatta ricercata nel conferimento dei Benefici, non poteva essere gradita agli ingiusti pretendenti. Egli ebbe molto a che fare con questi, e molto da soffrire; né mai si era trovato in angustie così gravi ed in cimenti così critici, come in queste occasioni.
- Uno abituato a chiedere con pretese, e sensibile solo a ciò che gli conviene, crede lecito ogni trasporto [o insulto], e non arrossisce quando lo ha fatto. Quanto più questi erano Gentiluomini, tanto maggiormente avanzavano nei rimproveri, e credevano lecite anche le villanie. Il dirgli in faccia “sei un ingiusto, non conosci Dio, non hai coscienza, vergognati di essere Vescovo” queste e simili, in tali occasioni, furono per Alfonso le convenienze più ordinarie.
Ogni uomo si sarebbe accigliato e risentito, ma Alfonso non si vide né disturbato, né alterato. Tutto riceveva in silenzio. Compativa il trasporto [l’insulto], e non apriva la bocca che per benedire chi lo malmenava. Bontà così singolare, se attirava l’ammirazione dei buoni, di certo non confondeva i presuntuosi pretendenti. - Un Sacerdote avanzato in età, ma senza alcun merito, messo da parte anche dal Vescovo antecedente, si presentò per esser provvisto di un Canonicato. Gli disse Monsignore Alfonso: “Voglio darvi pane, ma voglio che vi abilitate per la Confessione”. Così dicendo, gli diede un libro della sua morale. Non voleva il Prete sentir questo, ma voleva essere anteposto a tutti, per meriti che non aveva. Gli disse Alfonso: “Non posso in coscienza promuovervi, se per lo meno non vi abilitate per la confessione”. Sdegnato il Prete, si alza e con un atto sgarbato, quasi lacera il libro, e buttandolo sul tavolo, disse: “Va a farti benedire tu e la tua morale!”. Così dicendo, gli voltò le spalle e se ne uscì furioso e borbottando. Fece impressione in tutti tanta temerarietà, ma non in Monsignore, che disse placidamente: “Questo vuol dire esser Vescovo: se il padre non soffre le impertinenze dei figli, chi le deve sopportare?”
Restò così placido, come se non fosse accaduto niente. - Un Sacerdote, restato indietro nella provvista di un Canonicato, che pretendeva e non meritava, ricorrette al Re, calunniando Monsignore. L’iniquità ha questo di proprio, che benché poco spera, temeraria non si dà indietro. Non era ignota al Sovrano la giustizia ed imparzialità di Alfonso, e così si espresse: “Episcopus utatur jure suo” [Il vescovo determini a suo proprio diritto]. Tra questo tempo, succedendo un’altra vacazione, Monsignore dimentico dell’ingiuria, l’accordò a questo medesimo ricorrente. Ciò dispiacque a tutti e specialmente al P. Caputo, che osservò: «Il rischio è che si pensa che il ricorrere e caricare di villanie sia un mezzo adatto per ottenere quello che si pretende. Così si insolentiscono, non fanno conto di voi, e vi mettono in tante angustie.» Disse Alfonso: “Poveretti, non sapendo che cercano, si aiutano come possono, ma io debbo sopportarli, e fare il mio dovere”.
(Tannoia, Della vita ed istituto del venerabile Servo di Dio Alfonso Maria Liguori – Libro Terzo, Cap. 33). – Leggi tutto nell’originale.