35. LA CONDANNA A MORTE DI GESU’
I. Pilato continuava a scusarsi con i Giudei di non poter condannare a morte l’innocente Gesù. Allora essi lo spaventarono dicendogli: Se liberi costui, non sei amico di Cesare! (Gv 19,12). Così il misero giudice, accecato dal timore di perdere i favori di Cesare, dopo aver più volte riconosciuto e dichiarato Gesù innocente, alla fine lo condannò a morire crocifisso: Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso (Gv 19,16). […]
L’iniqua sentenza di morte viene letta al condannato Gesù: egli l’ascolta e umilmente l’accetta. Non si lamenta dell’ingiustizia del giudice, non si appella a Cesare, come fe-ce san Paolo, ma con mansuetudine e rassegnazione si sottomette al decreto dell’eterno Padre, che lo condanna alla morte per i nostri peccati: Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8). E per l’amore che porta agli uomini accetta di morire per noi: Ci ha amato e ha dato se stesso per noi (Ef 5,2).
Pietoso mio Salvatore, quanto ti ringrazio! Quanto ti sono obbligato! Desidero morire per te, che con tanto amore hai accettato la morte per me. Ma se non mi è concesso di dare per te il sangue e la vita per mano di un carnefice, come hanno fatto i martiri, almeno accetto con rassegnazione la morte che mi spetta; e l’accetto nel modo e nel tempo che a te piacerà. Fin da ora te l’offro in onore della tua maestà e in espiazione dei miei peccati; e per i meriti della tua morte ti prego di concedermi la sorte di morire nel tuo amore e nella tua grazia.
II. Pilato consegna l’innocente Agnello nelle mani di quei lupi, perché ne facciano quello che vogliono: E abbandonò Gesù alla loro volontà (Lc 23, 25). Le guardie lo afferrano con furia, gli tolgono di dosso lo straccio di porpora, come viene loro suggerito dai Giudei, e gli rimettono le sue vesti: Lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo (Mt 27,31). Questo lo fecero affinché Gesù fosse riconosciuto almeno dalle vesti, dato che la sua bella faccia era così sfigurata dal sangue e dalle ferite che, senza le sue vesti, difficilmente si sarebbe potuto riconoscere. Poi prendono due rozze travi, ne compongono in fretta una croce e la caricano sulle spalle del Redentore.
San Tommaso da Villanova dice che Gesù non aspettò che la croce gli fosse messa sulle spalle dal carnefice, ma da se stesso egli allungò le mani, la prese avidamente e se la pose sulle spalle piagate. “Vieni, disse allora Gesù, vieni, mia cara croce. Da trentatré anni ti desidero e ti voglio: ti abbraccio, ti stringo a me, perché tu sei l’altare sul quale voglio sacrificare la mia vita per amore delle mie pecorelle”.
Mio Signore, come hai potuto far tanto bene a chi ti ha fatto tanto male? Quando penso che tu sei giunto a morire tra i tormenti per ottenermi l’amicizia divina, che io poi ho tante volte volontariamente perduta per colpa mia, vorrei morirne di dolore! Quante volte tu mi hai perdonato, e io sono tornato ad offenderti! Come potrei sperare il perdono se non sapessi che tu sei morto per perdonarmi? Dunque per la tua morte io spero il perdono e la perseveranza nell’amarti.
O mio Redentore, mi pento di averti offeso: per i tuoi meriti perdonami, e io ti prometto di non offenderti più. Io stimo e amo la tua amicizia più di tutti i beni del mondo: non permettere che io torni a perderla. Signore, dammi ogni altro castigo, ma non questo. Preferisco perdere la vita, piuttosto che perdere te, e voglio amarti sempre. (Amore delle Anime, XI,1-3)