Redentoristi in Madagascar
2012 – La scuola della povertà: impressioni di un Volontario.
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Redentoristi in Madagascar
Là dove la povertà è di casa – La scuola della povertà: impressioni di un Volontario
di Carmine Calabrese
Già da quando misi piede sull’aereo che doveva portarmi in Madagascar, l’unico pensiero che occupava la mia mente era quello di ritornare quanto prima in Italia, perché l’incontro con la povertà non mi entusiasmava.
Visto dall’alto dell’aereo il Madagascar è un territorio meraviglioso e vario, dove predomina il colore rosso della terra. Tutto questo… dall’alto dei cieli. Tuttavia, sceso a terra l’impatto con la dura realtà mi ha portato a compiere un viaggio doloroso nell’ingiustizia e nell’indifferenza, dove a farne le spese erano i più deboli. La storia non si smentisce mai: sono sempre gli innocenti a pagare per i colpevoli. E scontano non solo l’ingiustizia per la disparità che regola la distribuzione dei beni della Terra ma anche, e soprattutto, l’indifferenza del mondo occidentale di fronte a tanta povertà.
I miei occhi non riuscivano a credere a tanta miseria. La maggior parte delle persone non possedeva neanche un paio di scarpe, le poche auto, vetture che circolavano sulle ancor più rare strade avevano gli stessi anni delle auto esposte nei nostri musei. L’energia elettrica, l’acqua corrente, i servizi sanitari: fantascienza per la maggioranza della popolazione! Gli abiti indossati (ma sarebbe opportuno parlare di stracci) non erano degni neanche di essere venduti nei nostri mercatini dell’usato, dove molte famiglie si recano per risparmiare qualche decina di euro.
Niente di tutto quello che siamo soliti vedere e usufruire in Italia, esiste in Madagascar. Negozi, vetrine, bar, pub, pizzerie, ristoranti, ospedali, scuole, moto, scooter, auto di ogni tipo. Niente! Solo miseria, fame e tanta, tanta sofferenza.
I primi giorni, avevo paura nel mangiare, paura di prendere qualche strana malattia e per mia fortuna, il mangiare era poca cosa rispetto alle nostre tavole: solo riso e qualche verdura non identificata a fargli compagnia. Il pesce era rigorosamente secco, in quanto senza energia elettrica i frigoriferi sono del tutto inutili. Evitavo di avere contatti diretti con le persone, di stringere mani e abbracci come sono solito fare, mi nascondevo dietro la macchina fotografica, con l’alibi di dover fotografare l’attività e il lavoro svolto dai Missionari Redentoristi in questo Paese che è uno dei più poveri della Terra.
Quello che mi colpiva del Madagascar era il livello alto di povertà che faceva sì che la differenza tra gli uomini e gli animali era ben poca cosa. Anzi, forse gli animali stavano meglio.
Passavano i giorni e sentivo crescere la vergogna di quel che ero e come ero: l’uomo venuto dal mondo ricco, che tutti guardavano con una malcelata invidia.
L’ingresso in un piccolo ospedale per i bambini affetti da TBC, ha segnato il giro di boa della mia presenza in Madagascar. Capii che non bastava provare vergogna perché io avevo tutto e loro niente, non bastava indignarsi di fronte a tanta povertà, non era sufficiente provare pietà per questo popolo. Ci voleva qualcosa di più. Dovevo farmi carico delle loro sofferenze e dei loro problemi, dovevo indossare le vesti del Cireno che aiutò Cristo a portare la sua croce sul Golgota. E così fu!
Da allora il Madagascar è entrato a far parte della mia vita, del mio stesso DNA. Ritornato in Italia, mi sono sempre impegnato a promuovere e a diffondere quelle iniziative intraprese dai Redentoristi per sollevare questo popolo dalla sua condizione di estrema povertà.
Da allora mi sono impegnato nel sostenere le adozioni a distanza, i piani di alfabetizzazione dei villaggi della foresta, la creazione dei dispensari medici dove offrire le prime cure sanitarie soprattutto ai bambini.
Risultato: tutto questo mi procura molta più gioia che entrare in un negozio e comprarmi un buon paio di scarpe o un bel vestito.
(da “In cammino con San Gerardo”, 2012, settembre, p. 50).