De Robertis Celestino redentoristi

P. Celestino De Robertis (1719-1807) – Italia.

È una delle glorie più limpide del primo secolo redentorista. Il suo nome appare nella storia di S. Alfonso e di S. Gerardo, e negli epistolari dei venerabili p. Cesare Sportelli (m. 1750) e p. Paolo Cafaro (m. 1753). E il p. Celestino De Robertis.

Ecco quanto, il 23 aprile 1807, un testimone oculare, il p. Luigi Ferrante, riferiva al p. Rettore Maggiore Blasucci: « Dopo una infermità di 7 mesi, è passato a godere la gloria eterna del paradiso il gran servo di Dio, il gioiello della nostra Congregazione, l’anima della casa di Caposele, l’innamorato di Maria SS., l’operatore di prodigi, l’ultimo compagno del nostro venerato Fondatore, il nostro caro p. don Celestino de Robertis. Egli è morto a’ 20 di aprile, in giorno di lunedì, alle ore 24 della sera, assistito da tutti i padri, studenti e fratelli.
E’ morto non già per forza di febbre, ma per estinzione di calore, in età di 88 anni. La sua infermità è stata penosissima, poiché la piaga che aveva alla gamba lo ha costretto a stare sempre in letto alla supina, e questa situazione gli cagionò 5 piaghe alle spalle che minacciavano cancrena, e infatti, dopo molti mesi, è comparsa una cancrena generale, e questa lo ha involato agli occhi nostri.
La sua rassegnazione alla volontà di Dio è stata perfettissima; la sua pazienza nei patimenti, che sono stati troppo grandi, ammirabile; e, domandato da me e da altri soggetti come si sentiva, ha risposto sempre: Io godo un paradiso anticipato!
Egli è morto carico e ricco di tutte le virtù in grado eminente, ed è morto per lo zelo della Congregazione. La sua morte è stata così dolce, che appena ci siamo accorti d’essere trapassato ».

Il p. De Robertis era nato nel 1719 a Sieti, casale di Giffoni, dal Magnifico dott. Giovanni Costanzo e da Angela Antonia Carcani, che si distinguevano per la pietà e per gli abbondanti mezzi finanziari. Ultimato il corso grammaticale e di erudizione, si recò a Napoli per gli studi superiori presso la Università regia, conseguendo il dottorato in diritto canonico e civile.
Nella quaresima del 1744, con diversi galantuomini, fece gli esercizi a Ciorani e, nel fervore, propose di voltare le spalle al mondo, che lo lusingava in mille modi, per mettersi al servizio delle anime nella vita religiosa. S. Alfonso lo incoraggiò con due stupende lettere del 15 marzo e del 7 aprile del 1744.

Ammesso al noviziato, il 10 luglio del 1745, parti per Deliceto, ove emise i voti il 9 luglio 1746 nelle mani di S. Alfonso. L’ecc.mo mons. Giulio Torni, il 28 luglio 1748, a Napoli, l’ordinò sacerdote. Da quel giorno, scese con entusiasmo sulla breccia dei lavori apostolici, seguendo le orme dei missionari più provetti. L’ideale alfonsiano della salvezza delle anime più abbandonate l’affascinava. Divorato dallo zelo, non si risparmiava nelle predicazioni compiute nei paesi più depressi. Sognava anche le missioni di Oltremare.

Nell’ottobre del 1749, durante il capitolo generale, d’accordo col p. Fiocchi, sottopose a S. Alfonso un memoriale che riproduciamo: «Carmine Fiocchi e Celestino de Robertis del ss. Redentore con umilissime suppliche espongono a V. Paternità come desiderano autenticare la verità di nostra vera religione anche collo spargimento del sangue, qualora il Signore si degnerà adempire i loro desideri coll’essere destinati per le missioni degli infedeli ».
Il gesto commosse S. Alfonso, che più volte aveva esclamato: «Se potessi fare delle missioni in tutto il mondo, anche le farei».
Il p. de Robertis continuò a dedicarsi alle missioni rurali. Nel lavoro non mancarono le amarezze, e se ne dolse col suo direttore spirituale, il ven. p. Cafaro, che gli rispose: « Non mi meraviglio se le riescono sensibili le spine e le punture del basso mondo… Croci, croci ci occorrono, se vogliamo andare appresso a Gesù Cristo. Bisogna crepare per dare gusto a Dio… Fortezza, e non tenerezza, vuole da noi Gesù Cristo ».

Il discepolo docile non dimenticò in seguito il monito austero del maestro. Nel 1755 fu inviato a S. Angelo a Cupolo; e, il 5 maggio, si recò col p. Villani a predicare gli esercizi al popolo beneventano, trepidante per la siccità che comprometteva la raccolta. L’acqua scese improvvisa a catinelle.

Dopo una seria malattia, fu trasferito a Ciorani, ove si gettò nelle fatiche col primiero ardore. E finalmente fu assegnato a Materdomini, ove trascorse il restante della vita.

Coltivò la memoria di S. Gerardo di cui trascrisse, per uso personale, il «Regolamento di vita». Il documento prezioso è giunto fino a noi. Il Santo scrisse al de Robertis due lettere.
Il De Robertis fu un autentico redentorista, emulando il tenore di vita di san Gerardo e di sant’Alfonso. A pié di un suo ritratto si ricorda la gentilezza dei suoi modi nella conversazione, il singolare candore dei costumi, l’amore ardente verso Dio e il prossimo, la sete grande della divina gloria. Osservantissimo delle regole principalmente nella pratica della povertà, obbedienza ed oblio di sé, per cui mai ambì onori terreni. Devotissimo della Immacolata Concezione della Madonna «cultor nulli secundus, cuius ope multa perpetravit miracula ».
Dotato del carisma della profezia e della scrutazione dei cuori, si addormentò nel Signore onusto di virtù e di meriti a 88 anni, in Materdomini, il 20 aprile del 1807.

P. Oreste Gregorio
S. GERARDO, anno LXVII, aprile-maggio 1967, pag. 68.

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Profilo tratto da
Nella luce di Dio, Redentoristi di ieri.
del P. Francesco Minervino, Pompei 1985

P. Celestino De Robertis, nativo di Sieti (SA), fu un redentorista della prima generazione, compagno di S. Alfonso. Si distingueva per la gentilezza dei suoi modi nella conversazione, il singolare candore dei costumi, l’amore ardente verso Dio e il prossimo, una grande sete della divina gloria.

 

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