16ª settim. Tempo Ord. – Venerdì – Cristo nostra speranza
Tutta la mia fiducia è in te, Cristo Gesù, nostra speranza (1 Tm 1, 1).
• Sei tu, o Signore, la mia speranza. Qualunque cosa debba fare o tralasciare, sopportare o desiderare, tu o Signore sei la mia speranza…
Questa è la ragione esclusiva della mia attesa. Adduca pure altri il proprio merito, vantandosi di sostenere il peso della giornata e del caldo, dicendo di digiunare due volte in giorno di sabato, infine si glori pure di non essere come gli altri uomini: per me invece è cosa buona aderire a te, porre in te, Signore Dio, la mia speranza.
Sperino pure altri in altre cose confidando chi nella scienza o nell’astuzia del mondo, chi nella nobiltà, nella dignità o in qualsiasi altra vanità; io, per amor tuo, considero tutte queste cose come perdita e le stimo come spazzatura, poiché sei tu, o Signore, la mia speranza.
Speri pure chi vuole nell’incerto delle ricchezze, io invero, lontano da te, non spero neppure il necessario alla vita, confidando appunto nella tua parola, in forza della quale ho rinunciato a tutto: Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte le altre cose vi saranno aggiunte…
Se mi saranno promessi dei premi spererò di ottenerli per la tua bontà; se insorgeranno contro di me battaglie, se incrudelirà il mondo, se fremerà il Maligno, se la carne stessa si ribellerà allo spirito, io spererò in te.
(S. Bernardo, In Psalmum « Qui babitat » 9, 5)
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• O speranza, dolce sorella della fede, tu sei quella che con le chiavi del sangue disserri vita eterna.
Tu guardi la città dell’anima dal nemico della confusione; tu non allenti i passi tuoi, perché il demonio con la gravità delle colpe commesse, non possa confondere l’anima in disperazione; ma tutta virile perseveri nella virtù, ponendo nella bilancia il prezzo del sangue.
Tu poni la corona della vittoria in capo alla perseveranza, perché tu sperasti averla in virtù del sangue; tu sei quella che leghi il demonio della confusione con la fune della fede viva; tu vinci il sottile inganno ch’egli usa con l’anima per tenerla in continua tenebra e afflizione.
(S. Caterina da Siena, Epistolario 343, v 5, p 182‑3)
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da “Intimità divina”
Roma 1992