Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
50. Come fare l’atto di amore. Le mele del Santo.
Come fare l’atto di amore – Le mele del Santo.
Al Padre Isidoro Leggio, artefice della incresciosa e dolorosa situazione seguita al Regolamento (divisione delle Case del Regno da quelle dello Stato Pontificio riconosciute fedeli alla Regola di Benedetto XIV), S. Alfonso nel 1781 scrisse: “Questa è l’unica preghiera che io sempre farò: Dio mio, non mi fate uscire un punto dalla vostra volontà”.
Un pomeriggio sonnolento stava sopra la sedia a ruote nel corridoio ed era visibilmente angustiato. Il p. Volpicelli, un religioso svelto, accostatosi, gli disse che a quell’età e in quello stato non era tenuto ad alcun obbligo e con un atto di amore soddisfaceva agli esercizi regolamentari omessi. “Con un atto di amore?” – ripigliò ammirato Monsignore. “Sì – soggiunse risoluto il confratello: con un atto di amore soddisfate a tutto”. Ed egli che aveva scritto L’amore dell’anime, la Pratica di amar Gesù Cristo e nel 1775 il Trattatello dell’amor divino e dei mezzi per acquistarlo, illuminandosi in volto chiese ingenuamente: “Imparatemi come si fa quest’atto di amore”.
Perché sordastro, il p. Volpicelli gli si avvicinò, suggerendo a voce alta:”Dio mio, vi amo con tutto il cuore…”. Alfonso, nel ripetere la giaculatoria, fu sorpreso da un moto estatico e fu visto saltare oltre un palmo in aria, dando una testata solenne sotto il mento del suggeritore. E un altro giorno il santo Vescovo bramava che gli venisse insegnato nuovamente l’atto di amore; lo.fece il p. Volpicelli, ma cautamente, tenendosi a congrua distanza per scansare qualche improvvisa carezza al mento, che ancora gli doleva.
Dovette accadere in questo periodo ciò che riferisce un altro testimone circa il breviario che continuava a recitare, benché fosse stato dispensato. “Un chierico, recitando con esso l’offizio, non so perché fu sopraffatto da riso, e non poteva contenerlo, né seguitare i salmi. Pazientò per un pezzo Monsignore, e vedendo che il chierico non si rimetteva:”Via su, disse, ridiamo tutti e due“. E realmente si mosse anch’egli al riso. Così il chierico si pose in serio”.
Finezza pedagogica secondo lo stile si S. Filippi Neri. Un tipo scorbutico avrebbe allontanato con un acerbo rimprovero il povero giovane, ch’era stato investito senza colpa da un fenomeno nervoso.
E un altro giorno, essendogli annunziata con sussiego la visita di alcune dame dell’aristocrazia napoletana il santo vecchio riprese con candida gioia: “Che dame! La mia dama è la Madonna”.
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È ancora palpitante nella tradizione popolare l’aneddoto delle pere, che è riportato in un manoscritto settecentesco: “L’anno 1783, essendosi portato in Agerola in tempo di quaresima un nostro. religioso, girò nella contrada per procurare quattro pere per Monsignore; n’ebbe da rotole 50. Monsignore avendole vedute si consolò.
Il p. Volpicelli disse: “Monsignore, fate una benedizione a tutte quelle piante, che l’hanno prodotte. Ed egli alzando la mano disse: Sia benedetta quella terra, che l’ha prodotte”.
L’anno susseguente non era raccolta di pere, e quelle piante ne produssero tante e tante che gli alberi si spezzavano, e si vendettero a vil prezzo. Veduto questo prodigio quei di Agerola promisero di portar ogni anno le pere a Monsignore”.
Chi scrive ha gustato le pere del fondo benedetto da sant’Alfonso; gli attuali proprietari attestano che né essi né gli antenati si sono mai lagnati di scarsezza e attribuiscono la fecondità alla protezione del glorioso Santo di Pagani.
(cf Oreste Gregorio, Monsignore si diverte, pp. 166-168)
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Galleria di statue di S. Alfonso vescovo
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