S. Alfonso e le Cappelle Serotine
Una iniziativa audace e fruttuosa
Sacerdote per i poveri
Il 21 dicembre del 1726 Alfonso riceve il sacerdozio. Ha 30 anni. Si mette subito all’opera tra i poveri dei sobborghi di Napoli. E si identifica, sempre di più, con Cristo. Ha scoperto che è ai poveri che appartiene il Vangelo e, come Cristo, vuole dedicare la sua vita ad annunciare loro la Buona Novella. La scelta dei sobborghi prepara il cuore di Alfonso al carisma missionario che egli è chiamato a realizzare nella Chiesa.
È in questo periodo che entra nella Confraternita dei Bianchi della Giustizia. I confratelli, vestiti di una tunica bianca, assistevano i condannati a morte e chiedevano l’elemosina per gli orfani e le vedove dei giustiziati. Si tratta di un ulteriore passo verso il distacco e verso il povero nel suo totale abbandono e nudità. Apparterrà sempre alla Confraternita, e pubblicherà alcuni consigli per quanti esercitano «l’immenso amore di condividere con i condannati a morte i loro ultimi momenti»; sono gli «abbandonati da tutti, compresi parenti e amici».
Napoli contava in quel tempo 250.000 abitanti. Era la città più grande del regno e una delle più popolate d’Europa. Di questa, era anche il sobborgo. Verso Napoli s’incamminava ogni giorno una marea di immigranti che fuggivano dalla «fiscalizzazione del regno, dalla prepotenza feudale e patrizia, dall’insicurezza delle province afflitte dai sottoministri »; ma si ritrovavano senza lavoro, senza tetto, e si arruolavano «nel grande esercito del pauperismo e del parassitismo».
Le cappelle serotine
Al calar del sole, Alfonso si incontra con la gente povera e semplice del popolo e dà inizio ad una affascinante esperienza di annuncio e ascolto della Buona Novella. In piccoli gruppi, cantano insieme, pregano insieme e dialogano nel loro linguaggio e ambiente, quello delle strade e delle piazze. Nascono così le Cappelle serotine.
Si moltiplicano in maniera straordinaria in quei sobborghi. Tannoia, primo biografo di Alfonso, non solo descrive il fatto, ma riporta i nomi di molti dei partecipanti, « ben noti in tutta Napoli… come veri innamorati di Gesù Cristo» : venditori di farina, di castagne, di sapone… Ed il resto, poveri senza volto, piccolo artigiani, disoccupati, bisognosi …
Alfonso dedicherà loro sei anni della sua vita, 1727‑1732, fino a quando non incontrerà altri « poveri », spiritualmente più abbandonati, e deciderà di rimanere con questi.
T Rey‑Mermet, uno degli ultimi biografi di Alfonso, scrive a proposito delle Cappelle serotine:
- I destinatari della Buona Novella sono «i poveri, gli emarginati dalla morale e dal ministero della Chiesa ».
- Ogni gruppo dava vita ad un luogo di conversione e una scuola di santità. Non si trattava di farfugliare preghiere, ma di meditare, di approfondire insieme.
- E infine la cosa più singolare di allora e di oggi: le Cappelle serotine costituirono una opportunità per il cristiano semplice e povero della strada. Incontri per i laici, guidati dai laici stessi. Il sacerdote era un semplice assistente. Un minimo di struttura con un massimo di contenuto. Una chiamata alla santità per tutti i battezzati ed una affermazione del ruolo del povero e del laico nella Chiesa. E tutto questo in pieno XVIII secolo!
Alfonso non dimenticò mai le Cappelle serotine. Quando partì per Scala le affidò alle mani dei suoi migliori amici; ma, soprattutto, alle mani degli stessi poveri cui aveva insegnato a scoprire, nella loro vita, il mistero di un Dio che li amava profondamente. Saranno loro a farle moltiplicare.
Alla fine del secolo si contavano già ben settantacinque gruppi. Questi, in un primo momento visti con sospetto e persino soppressi dalle autorità, vennero poi presentati, a mo’ di lusinga, come creazione del cardinale «regnante». Una delle gioie di Alfonso era sapere che i poveri delle Cappelle serotine perseveravano nella via della santità.
Alfonso per lo più operava nel Mercato, e nel Lavinaro, ove vi è la feccia del Popolo Napoletano; anzi godeva vedersi circondato dalla gente più vile, come sono i Lazzari, così detti, e da altri d’infimo mestiere. Questa gente piucché ogn’altra aveva Alfonso a cuore; e non mancava illuminarla colle prediche, e ridurla a Dio colla Sacramentale Confessione. Uno dando voce all’altro, si vedevano concorrere ogni dì nuovi penitenti da ogni parte, e servir tutti come di pabolo all’ardente zelo, che aveva di salvar Anime, e donarle a Cristo. Tanti e tanti, ancorché scellerati e peccatori, che non lasciarono di frequentarlo, non solo presero in orrore il peccato; ma addivennero anime di orazione non ordinaria, e sommamente impegnati in amare Gesù Cristo. (Tannoia).
da RUIZ, S. Alfonso, amico del popolo
Guarda il video sulle Cappelle serotine nella rappresentazione avvenuta il 12 dicembre 2007 nella Basilica S. Alfonso a Pagani. [flashvideo file=video/SAlfonsoVocSerotine.flv /]