Gioacchino Belli e il Beato Alfonso

Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
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Gioacchino Belli e il Beato Alfonso

Gioacchino Belli e il Beato Alfonso

Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli (Roma, 7 settembre 1791 – Roma, 21 dicembre 1863) è stato un poeta italiano. Nei suoi 2200 sonetti in vernacolo romanesco raccolse la voce del popolo della Roma del XIX secolo (Wikipedia).

Gioacchino Belli (1791–Roma-1863), poeta di fine ironia che ha scritto in dialetto romanesco. Tra gli oltre 2000 sonetti scritti uno riguarda S. Alfonso, allora ancora Beato.

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Uno dei sonetti riguarda il miracolo di Alfonso de Liguori accaduto quando si recò a Roma per la consacrazione episcopale. Il redentorista P. Oreste Gregorio (1903-1976), attento e appassionato storico ci offre le circostanze e il testo.

Il poeta romanesco era stato a Napoli con la mamma da fanciullo ed ivi forse aveva appreso l’episodio, accaduto a sant’Alfonso nel 1762 a Roma, dove questi si trovava per la consacrazione episcopale.
Un venerdì il superiore dei Pii Operai,· presso cui il santo abitava in Santa Maria ai Monti, scorgendolo malconcio di forze, ordinò al cuoco di passargli a pranzo del pollo·arrosto. Nel suo spirito di penitenza il Santo esclamò: “Come! è  feria sesta (=venerdì) e volete che mangi di carne?” Invece di accettare l’eccezione per il suo precario stato di salute, Alfonso diede una benedizione e il pollo divenne un cefalo nel piatto.

Belli si ispirò a questa leggenda e con il consueto scanzonato brio trasteverino scrisse i versi seguenti, oggi quasi dimenticati:

Er Beato Arfonzio

Quà c’è poco da ride e fà er buffone
ch’er Beato Arfonzio de Liguori
è stato un Santo con marcio e cò l’onori
e faceva miracoli a tastone.

Questo ve posso dì: ch’a l’occasione
ch’aveva un certo male, o drento o fori,
pè arimetterlo in cianca, li dottori
j’ordinorno un arrosto de cappone.

Che te fà er Santo: siccome j’arincresce
de rompe la viggijja, arza la mano
sur pollo arrosto e lo straforma in pesce.

Accussì cò uno scansetto de cuscenza
da omo de talento e bon cristiano
magnò a suo modo e fece l’obbedienza.

 Riportato in Spicilegium Historicum C.Ss.R., 1969, I, p. 177.

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L’episodio ha il sapore dei “fioretti francescani” e come tale va accolto.
Ecco come il Berruti nell’opera “Lo spirito di S. Alfonso” narra l’accaduto (pp. 333-334).

Ricorderò da prima quello stupendo miracolo operato dal santo stando in Roma per la sua consacrazione.
Dimorava nella casa dei PP. Pii operari detta la Madonna dei Monti, e trovandosi in un giorno di venerdì aggravato dal suo solito affanno, il P. Panzuti superiore di quella casa gli fece preparare il pranzo di carne.
Mangiò Alfonso poche cucchiaiate di minestra fatta col brodo, perché non se ne accorse; ma essendogli presentato un pollo in allesso, appena lo vide, esclamò: “Oggi è venerdì e volete farmi mangiar carne?”
Lo esortavano a mangiarne tanto il suddetto P. Superiore, che il P. Villani suo compagno di viaggio sul riflesso della sua non leggiera indisposizione di salute. Ma il santo contorcendosi, e dando una benedizione al pollo, di cui il solo servitore se ne avvide, cangiossi immantinente il pollo in pesce detto cefalo ben cotto.
Non sapendo frattanto i suddetti padri, donde fosse venuto quel pesce, ne interrogarono il servo, il quale attestò, che egli non mai aveva riportato il pollo in cucina, e né tampoco in cucina erasi preparato quella mattina verun pesce: ma disse ciò essere avvenuto per la benedizione, che il santo aveva data al pollo senza farne loro accorgere.

Leggi l’episodio nell’opera originale a pp.333-334.

Burkhardt - S. Alfonso trasforma il pollo in cefalo (Raccolta Marrazzo).