Il cammino del vescovo Alfonso Maria de Liguori: 1762-1775.
10. “Qui non stiamo a teatro!”
S. Alfonso e la musica: “Qui non stiamo a teatro!”
S. Alfonso non era un conservatore per costituzione, sempre all’erta per impedire col pastorale ogni progresso come se lo intagliano i superstiti epigoni dell’illuminismo. Egli Reagiva agli abusi, ed era nel suo diritto, compiendo un sacrosanto dovere.
“Napoletanissimo nelle midolla”, lo qualifica Gennaro Auletta in uno scorcio; non è certamente passato alla storia per la sua attività musicale: è menzionato nei repertori pel Duetto composto nel 1760.
L’operetta originale custodita nel British Museum di Londra è ritenuta da musicologici autorevoli per le chiare doti stilistiche ed organiche uno dei saggi più pregevoli della letteratura musicale religiosa del Settecento italiano.
Sant’Alfonso amò il suono e il canto come elementi di non scarso valore e li adoperò nelle missioni popolari, per le quali compose ritmi graziosi. Maturo negli anni attestò con lealtà: “La musica mi piace, e da borghese vi sono stato applicato“. Non fu un’applicazione superficiale che si fermava alle ariette idilliche: ebbe per un triennio maestro nel contrappunto il celebre Gaetano Greco, dalla cui scuola uscirono Durante e Pergolesi.
Con finezza consapevole notava: “La musica è un’arte che se non si possiede perfettamente, non solo non alletta, ma positivamente dispiace”. Sembra che la frase incisiva mantenga la sua efficacia nel corrente secolo nucleare.
Non ammetteva il canto figurato artificioso, spruzzante sospiri, mentre si svolgevano le funzioni, specialmente nelle chiese delle monache. Esigeva arte seria secondo la legislazione canonica: “Gli editti si fanno perché si osservino, non perché impiastrino la sagrestia“.
Il Santo si opponeva al rococò musicale nelle chiese dei monasteri di clausura e più particolarmente agli “a solo”, perché erano un richiamo di cicisbei. Ci si accorreva di fatti non per devozione cristiana ma per sentire la voce di Suora Angelica o di Suor Semplicia. I pettegolezzi creavano grave distrazione e pericoli alle ingenue claustrali.
In occasione di una festa a S. Maria a Vico Monsignore fu invitato a predicare. Un diacono, che aveva frequentato un conservatorio musicale napoletano, credendo di fargli piacere, intonò una litania figurata con interminabili ghirigori di voce sul tipo di quelle di Porpora o di Feo. Immaginava nello sfoggio di gorgheggi: un tenore come questo non l’avrà mai sentito… Il vescovo frenando l’indignazione, dopo il Kyrie accostatosi lo stimmatizzò senza tanti complimenti: “Qui non stiamo a teatro. Tale canto non genera divozione, ma dissipazione nel popolo“. E gl’impose di seguitarla in tono gregoriano, che riputava come una specie di “vangelo musicale”. La casa di Dio è casa di preghiera e non una platea per ridere e sbadigliare.
Una volta egli si trovava in sacra visita. Alla funzione serotina il parroco intonò il Tantum ergo con voce stonata, e i fedeli risero. “Oh Dio, esclamò il Santo, ho faticato mezz’ora per farli piangere, e voi con un’ aperta di bocca li avete fatto ridere, e fatto perdere tutto“. .
(Oreste Gregorio, Monsignore si diverte... Valsele Tipografica – Napoli 1987, pp.46-48)
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Galleria di statue di S. Alfonso vescovo
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