Redentoristi in Madagascar.
2013 – Il segreto di una vita felice.
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Redentoristi in Madagascar
2013 – Il segreto di una vita felice
di Lorenzo Gasparro C.Ss.R.
Il redentorista P. Lorenzo Gasparro, missionario in Madagascar, descrive sulla rivista “In cammino con S. Gerardo” l’importanza riconosciuta in Madagascar alla saggezza tramandata da genitori e nonni. Ed il vangelo aiuta i malgasci ad esercitare un giudizio critico sull’incombente cultura consumistica
Una delle cose che colpisce arrivando in Madagascar è l’importanza che si accorda ai discorsi. Non c’è incontro, festa o celebrazione che non trovi il suo culmine in un kabary, cioè per l’appunto in un discorso. Si fanno discorsi in famiglia, in chiesa, in politica e per circostanze tristi o felici, per un matrimonio come per un funerale.
Ogni malgascio degno di questo nome deve saper fare un kabary, perché dall’abilità in questa arte dipende anche la stima e il valore che la persona riveste in seno alla famiglia e alla società. Un buon kabary non può esser mai troppo breve e, in qualche occasione, può protrarsi anche per un paio d’ore.
I malgasci hanno la capacità (noi diremmo la pazienza!) di ascoltare con interesse, pur conoscendo già in anticipo i tre quarti di quello che si dirà. La struttura del discorso, infatti, è rigidamente fissata dalla tradizione: si inizia chiedendo scusa, agli antenati e ai presenti più anziani, di prender la parola. Quindi, si salutano i presenti, si espone il vero oggetto del discorso e si termina con saluti e auguri. Il tutto è farcito da una valanga di proverbi, che hanno il compito di delucidare e rafforzare quello che si afferma. Gli mpikabary (oratori) più abili hanno la capacità di associare quasi ad ogni frase pronunciata, un proverbio che la confermi.
I proverbi (ohabolana) in Madagascar sono delle dichiarazioni unanimemente riconosciute, una specie di verità evidente. Se trovi un proverbio per appoggiarlo, puoi affermare anche che un asino vola! Questa cosa può far storcere il naso a chi come noi è nato in Occidente, dove il criterio della verità risiede nel ragionamento.
Nella mentalità africana la verità appartiene alla tradizione, agli anziani, alla famiglia. Tutto ciò che è affermato da una di queste tre istanze ha per l’individuo il valore dell’evidenza e non c’è nessun motivo per metterlo in discussione. L’individuo ha coscienza di esser parte di una tradizione che lo ha preceduto, che ha già riflettuto sulle diverse situazioni della vita e che, attraverso i proverbi, trasmette questa esperienza alle generazioni future. Non ascoltare la tradizione è stupido perché vuol dire volersi esporre a degli errori già fatti e dunque evitabili. La tradizione, infatti, è il veicolo principale della saggezza.
E veniamo così ad un altro concetto importantissimo per la cultura malgascia. La saggezza (fahendrena) è il saper vivere secondo la verità sperimentata dagli uomini prima di noi. Esser saggio è sinonimo di esser giusto, onesto, retto. La saggezza è anche l’indice di una vita rispettosa di Dio.
Rimango sempre colpito da come la cultura malgascia veicoli ancora una saggezza antichissima da noi ormai scomparsa. Fin da piccoli, i bambini ricevono dai genitori e dai nonni insegnamenti sulla gentilezza, sulle buone relazioni, sulla solidarietà, sul rispetto, sui doveri in famiglia. Si insegna ad evitare il litigio, ad obbedire ai genitori, a rispettare gli anziani, e soprattutto a venerare gli antenati che ci hanno preceduti e Dio Zanahary. I bambini crescono accogliendo queste norme come il segreto di una vita felice e ben riuscita. Agli occhi del missionario tutto ciò appare non solo meraviglioso, ma anche come una misteriosa preparazione al vangelo che egli predica.
Purtroppo, questa ricchezza della cultura malgascia è oggi messa in pericolo dalla prepotenza della cultura capitalistica e consumistica, che propone il profitto e l’individualismo come modelli di vita e di successo. Nelle grandi città si assiste già alla perdita dei valori tradizionali, e all’imporsi della cultura del guadagno e del tornaconto personale.
In questa situazione di disorientamento, la Chiesa si rivela essenziale nell’aiutare la gente semplice a non confidare ciecamente nel nuovo e a diffidare dai paradisi artificiali promessi dalla pubblicità.
Il vangelo aiuta i poveri a scoprire i tesori sepolti nella loro tradizione, esercitando un giudizio critico su ciò è importato dal di fuori e offerto come progresso, civiltà e felicità.
Per me è sempre una sorpresa scoprire quali ricchezze Dio ha seminato in culture che – apparentemente – non conoscono ancora il Cristo. È la prova più evidente di come il Verbo “illumina ogni uomo che viene nel mondo” (Gv 1,9), in ogni spazio e tempo. Guardare alle culture cosiddette povere può insegnare anche a noi, sedicenti ricchi, come povertà e ricchezza non siano innanzitutto categorie economiche, ma valori che si radicano nell’essere umano in quanto tale.
La ricchezza autentica non è nel portafoglio, ma in ciò che si è. Ed in ciò per cui si vive.
(da “In cammino con San Gerardo”, ottobre 2013, pp.36-37).